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Home » Civile » Matrimonio » Moglie rifiuta di fare sesso con il marito: non sempre c’è addebito della separazione

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Moglie rifiuta di fare sesso con il marito: non sempre c’è addebito della separazione

Avv. Beatrice Bellato consulenzalegaleitalia.it Moglie rifiuta di fare sesso con il marito: non sempre c’è addebito della separazione
sesso-moglie
Avv. Beatrice Bellato

L’addebito della separazione per rifiuto di intrattenere rapporti affettivi – indice:

  • Cos’è l’addebito della separazione
  • I motivi del ricorso alla Cassazione
  • La decisione della Corte
  • Quando c’è addebito

Se la moglie rifiuta di fare sesso con il marito, non sempre questo basta per poter far addebitare alla donna la separazione. Una decisione in tal senso viene assunta soprattutto se c’è incompatibilità caratteriale o una diversa concezione del matrimonio. Ad affermarlo è la Cassazione con l’ordinanza n. 4756/2017, che ha dichiarato appunto inammissibile il ricorso di un marito che domandava l’addebito della separazione alla donna. Dinanzi alla Suprema Corte l’uomo sosteneva che i giudici di merito avessero erroneamente escluso l’addebito a carico della donna. L’uomo sottolineava che la separazione era dipesa dal suo rifiuto di intrattenere rapporti affettivi e sessuali e che dunque avrebbe dovuto esserci addebito nei confronti della donna.

In realtà, gli Ermellini sono stati di diverso avviso. Andiamo con ordine: l’uomo ha proposto ricorso per Cassazione contro quanto contenuto nella sentenza n. 1314/2014 resa dalla Corte d’Appello di Catania, che a sua volta aveva rigettato il gravame avverso la sentenza di primo grado di separazione giudiziale, escludendo l’addebito della separazione a carico della moglie.

Indice:

  • 1 Cos’è l’addebito della separazione
  • 2 I motivi di ricorso nell’ambito di un procedimento di separazione giudiziale
  • 3 La decisione della Corte di Cassazione
  • 4 Quando c’è addebito della separazione

Cos’è l’addebito della separazione

Il procedimento giudiziale di separazione dei coniugi prevede la possibilità di chiedere al giudice di pronunciare l’addebito della separazione nei confronti del coniuge che ha violato i doveri coniugali.

Il giudice pertanto è investito dell’onere di effettuare una valutazione ampia e articolata su fatti ulteriori rispetto a quelli che giustificano la domanda di separazione. Dal punto di vista processuale infatti la domanda di addebito configura una ipotesi autonoma e non una fattispecie integrativa del giudizio di separazione.

La pronuncia del giudice che dichiara l’addebito può essere ottenuta solo su iniziativa di parte e sulla base di determinati presupposti. Primo fra tutti il nesso di causalità tra la rottura del legame affettivo tra i coniugi e la condotta inadempiente di uno dei due.

Il caso di specie, riguardante la negazione da parte di una moglie dei rapporti sessuali al marito, attiene alla sfera dei doveri di assistenza morale reciproca dei coniugi di cui all’articolo 143 c.c. La Corte di Cassazione più volte in altre sentenze, fra le quali si cita la n. 19112/2012, ha sostenuto che il ripetuto rifiuto di intrattenere rapporti affettivi con il coniuge offende la sua dignità e la sua personalità e pertanto è giustificato motivo di addebito della separazione.

Nel caso affrontato dalla Corte in esame invece i giudici hanno negato all’uomo l’accoglimento del ricorso contro la moglie che si rifiutava di intrattenere rapporti sessuali confermando le statuizione già assunte dalla Corte del merito. Quest’ultima, dopo un esame approfondito dei fatti e delle testimonianze negava l’esistenza del nesso di causalità tra la rottura matrimoniale e il comportamento della donna. La rottura matrimoniale infatti, a parere dei giudici, sarebbe stata determinata da altri fattori.

I motivi di ricorso nell’ambito di un procedimento di separazione giudiziale

Nel ricorso, con il primo motivo, il ricorrente sostiene che la Corte d’Appello ed ancor prima il Tribunale avrebbero desunto erroneamente l’inattendibilità delle deposizioni testimoniali degli amici della coppia. Da queste era emerso che la donna si era rifiutata di intrattenere rapporti affettivi e sessuali con il marito. Con il secondo motivo di ricorso, l’uomo sostiene che il suddetto rifiuto a intrattenere rapporti affettivi e sessuali da parte della moglie sarebbe sufficiente a giustificare l’addebito della separazione. Il marito sostiene quindi in giudizio che non sia necessario procedere ad una valutazione comparativa della condotta dell’altro coniuge. Ciò in ragione del fatto che tale comportamento impediva l’esplicarsi della comunione di vita.

Ancora, con il terzo motivo il ricorrente contestava il mancato accoglimento della domanda di addebito. Con il quarto e ultimo motivo di ricorso infine, denunciava la sussistenza della soccombenza reciproca delle parti alle spese processuali decisa dalla Corte territoriale. Dinanzi a tale motivato ricorso resisteva la donna con controricorso, con il quale veniva altresì proposto ricorso incidentale relativo al mancato adeguamento dell’assegno di mantenimento.

La decisione della Corte di Cassazione

Nella sua decisione, la Cassazione sostiene che i motivi del ricorso principale appaiono inammissibili e ed i primi tre di essi possono esser esaminati congiuntamente. In particolare, sostiene la Cassazione, “la Corte d’appello ha fornito idonea e diffusa motivazione in ordine alle cause di esclusione dell’addebito esaminando le deposizioni dei testi escussi e valutando anche il comportamento della resistente in relazione alle uscite notturne ed alla frequentazione di un certo (omissis). All’esito di tale circostanziato esame, la Corte d’appello ha concluso che le regioni della rottura matrimoniale erano addebitabili esclusivamente a cause obiettive. Le cause derivavano dalla diversa concezione della vita matrimoniale e dalla incompatibilità caratteriale”. Le censure mosse dall’uomo a tale motivazione “tendono a prospettare una diversa interpretazione delle risultanze processuali chiedendo a questa Corte di effettuare un non consentito accertamento in punto di fatto e in tal modo investendo inammissibilmente il merito della decisione”.

Per quanto invece concerne il quarto motivo, l’unico che non è stato trattato congiuntamente con gli altri, la Cassazione sottolinea come anche questo sia infondato. La Corte d’appello ha rilevato la sussistenza della soccombenza reciproca in ragione del rigetto della maggior parte delle domande sia dell’appello principale che di quello incidentale.

Quanto al ricorso incidentale proposto dalla moglie, lo stesso appare inammissibile. La Corte d’appello ha effettuato una attenta valutazione delle disponibilità economiche dell’uomo ed ha rilevato che le censure avanzate dalla donna erano generiche. “Essendo tale ultima una ratio decidendi di carattere decisivo, la stessa doveva essere oggetto di specifica censura da parte della ricorrente incidentale, il che non è avvenuto”.

La Cassazione ha dunque rigettato entrambi i ricorsi.

Quando c’è addebito della separazione

Sussiste invece motivo di addebito della separazione quando c’è il nesso di causalità tra il rifiuto di intrattenere rapporti sessuali e l’impedimento di vivere in comunione il rapporto di coppia. Tale comportamento di uno dei coniugi infatti ostacola la coltivazione dell’affectio coniugalis e giustifica l’addebito della separazione.

Una decisione in tal senso è stata assunta dai giudici della Suprema Corte nella sentenza n. 19112/2012. La Corte riprendeva un orientamento pregresso secondo cui “il persistente rifiuto di intrattenere rapporti affettivi e sessuali con il coniuge configura e integra violazione dell’inderogabile dovere di assistenza morale sancito dall’art. 143 cod. civ…”.  E prosegue affermando che trattandosi di un comportamento coscientemente posto in essere è legittimo l’addebito della separazione. Con tale condotta si impedisce infatti “l’esplicarsi della comunione di vita nel suo profondo significato”.

La Corte di Cassazione ha affrontato un altro caso significativo in cui si giustificava l’addebito della separazione nella sentenza 9801/2005. In questo caso l’addebito della separazione veniva pronunciata nei confronti del marito. Questo si rifiutava di intrattenere rapporti sessuali per nascondere la sua incapacità di intrattenere rapporti sessuali completi.  La Corte ha ritenuto questo un caso di “violazione della persona umana intesa nella sua totalità, nella sua libertà dignità, nella sua autonoma determinazione al matrimonio, nelle sue aspettative di armonica vita sessuale, nei suoi progetti di maternità, nella sua fiducia in una vita coniugale fondata sulla comunità, sulla solidarietà e sulla piena esplicazione delle proprie potenzialità nell’ambito di quella peculiare formazione sociale costituita dalla famiglia, la cui tutela risiede negli articoli 2, 3, 29 e 30 Costituzione”. In tale caso il giudice ha ritenuto inoltre che alla donna spettasse il risarcimento del danno morale e patrimoniale.

 

Avv. Bellato – diritto di famiglia e matrimoniale, separazione e divorzio

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