L’anatocismo bancario – indice:
- Cos’è
- L’articolo 1283 c.c.
- Prima Cassazione
- L’articolo 120 T.U.B.
- La legge di stabilità del 2014
- Il Decreto Legge 18 del 2016
- La Delibera CICR 343 del 2016
- Ultima Cassazione
Anatocismo è un termine che deriva dalla lingua greca e che si usa per indicare una pratica diffusa in ambito bancario ma parzialmente vietata dal nostro ordinamento. Tale pratica consiste nella capitalizzazione degli interessi maturati su una somma di denaro dovuta dal cui risultato prendere l’importo ottenuto come base di calcolo di nuovi interessi. In greco infatti il termine anatocismo è composto di due parole: ανα che significa “di nuovo” e τοκισμός che significa “interessi”.
Ai tempi del diritto romano la pratica dell’anatocismo era vietata ovvero erano previste delle norme che la limitavano al fine di tutelare il debitore dall’accrescimento involontario della somma dovuta. Essendo stata in tempi successivi tale pratica liberalizzata, il nostro codice civile la ha ammessa a determinate condizioni. Ha trovato infatti largo uso in passato nelle operazioni bancarie anche tramite deroghe all’articolo 1283 del codice civile. I giudici della Corte di Cassazione tuttavia, inizialmente hanno avallato gli usi delle banche, ma, successivamente, hanno sostenuto il divieto di anatocismo bancario.
Cos’è l’anatocismo bancario
Il termine anatocismo bancario si usa per indicare l’operazione con cui la banca aggiunge alla somma capitale di un proprio credito gli interessi su di esso maturati per poi prendere tale importo complessivo come base per calcolare nuovi interessi sullo stesso. Nel linguaggio bancario gli interessi anatocistici si definiscono infatti “interessi composti” ovvero interessi che vengono calcolati sul debito principale unitamente agli interessi maturati su di esso.
Questa pratica, chiaramente, presuppone l’esistenza di un’obbligazione pecuniaria e dunque la stipula di un contratto tra la banca (creditore) e una persona fisica o giuridica (debitore). Si pensi, ad esempio, ai tradizionali contratti di mutuo o di deposito. L’articolo 1282 del codice civile infatti stabilisce, al primo comma, che “crediti liquidi ed esigibili di somme di denaro producono interessi di pieno diritto, salvo che la legge o il titolo stabiliscano diversamente”.
L’anatocismo bancario è sorto in ambito bancario negli anni in cui si è instaurato l’uso da parte della banca di richiedere al debitore la corresponsione trimestrale degli interessi nell’ambito di un contratto di scoperto di conto corrente. Per ottenere denaro liquido, soprattutto le persone giuridiche, si rivolgono alle banche chiedendo dei finanziamenti anche chiamati “fidi”. Sulla somma finanziata dalla banca maturano gli interessi debitori che se non pagati entro la scadenza davano spazio alla pratica dell’anatocismo. Quelli successivi infatti venivano calcolati sulla quota capitale del debito più gli interessi scaduti e non pagati.
L’articolo 1283 del codice civile
L’anatocismo è parzialmente ammesso dal nostro codice civile alle condizioni stabilite dall’articolo 1283. Questo recita:
“In mancanza di usi contrari, gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi”.
Le banche pertanto possono capitalizzare gli interessi con i seguenti limiti:
- se sul credito sono maturati degli interessi che non sono stati pagati entro la scadenza. In questo caso la banca può calcolare gli interessi sul montante (credito più interessi) dal giorno della domanda giudiziale;
- se le parti hanno stabilito nel contratto che nel difetto del pagamento degli interessi su questi interessi scaduti si calcolino nuovi interessi.
In entrambi i casi la data di decorrenza della maturazione degli interessi deve essere almeno di sei mesi.
La norma tuttavia prevede delle deroghe a tali limiti quando afferma “in mancanza di usi contrari”. Proprio tale locuzione ha aperto la strada alla pratica dell’anatocismo bancario, come si è già accennato sopra. La giurisprudenza ha consentito per decenni l’uso legittimo dell’anatocismo bancario ma l’esigenza di evitare fenomeni usurari ha fatto si che nel tempo i giudici cambiassero opinione, come si vedrà in seguito.
La prima Cassazione controcorrente
Le prime decisioni giudiziarie contrarie al consolidato orientamento sulla legittimità dell’anatocismo bancario sono emerse nel 1999. In tale anno i giudici della Suprema Corte hanno sostenuto, in due diverse sentenze (n. 2374 e la n. 3096), quanto di seguito descritto:
- negavano che gli usi bancari avessero un carattere normativo, affermandone piuttosto il carattere negoziale. Ritenevano pertanto che le clausole anatocistiche fossero idonee a derogare l’articolo 1283 del codice civile;
- sottolineavano il fattore psicologico utilizzato dalle banche per porre in essere tali pratiche di anatocismo rendendo obbligatoria al cliente la sottoscrizione delle clausole sulla capitalizzazione degli interessi al fine di ottenere il finanziamento;
- la disparità di trattamento tra interessi debitori e creditori del cliente della banca.
A seguito di tali innovative pronunce, per evitare un aumento sproporzionato di contenzioso in materia di anatocismo, intervenne il decreto legislativo 342/99. Questo apportava modifiche all’articolo 120 del T.U.B. (Testo Unico Bancario).
L’articolo 120 del T.U.B.
Con l’introduzione nell’articolo 120 del T.U.B. del secondo comma, il decreto legislativo 342/99 ha attribuito al Comitato Interministeriale per il Credito ed il Risparmio (CICR) il compito di stabilire con delibera le modalità e i criteri per la produzione di interessi sugli interessi nell’esercizio di attività bancaria. In ogni caso tali modalità e criteri dovevano assicurare la stessa periodicità di calcolo degli interessi debitori e creditori al cliente pari ad almeno un anno. È stato così risolto il problema della disparità di trattamento sollevato in precedenza dalla Cassazione.
La delibera del CICR è stata poi emanata il 9 febbraio del 2000 e resa operativa il 22 aprile dello stesso anno.
Il medesimo decreto legislativo stabiliva inoltre che le clausole anatocistiche inserite allora nei contratti bancari avevano validità fino alla data di entrata in vigore della delibera del CICR e successivamente dovevano essere adeguate a questa pena l’inefficacia. Tale norma tuttavia è stata sottoposta al vaglio della Corte Costituzionale che ne dichiarava l’incostituzionalità.
La versione qui descritta dell’articolo 120 del T.U.B. dunque ammetteva la pratica dell’anatocismo bancario con riferimento ai contratti bancari stipulati dopo l’entrata in vigore del decreto legislativo 342/99. Successivamente tuttavia l’anatocismo bancario è stato vietato in assoluto ad opera della legge di stabilità del 2014 e
Legge di stabilità 2014 Anatocismo bancario
Si ricorda con questa occasione che è stata la Legge di stabilità 2014 a intervenire in maniera decisiva sulla materia, proibendo alle banche e a tutti gli intermediari finanziari di imputare gli interessi maturati a capitale, dando così di conseguenza formazione alla maturazione di “interessi su interessi”.
Prima di questo frangente, come già accennato, la capitalizzazione degli interessi faceva sì che ogni trimestre gli interessi passivi che erano calcolati sulla originaria quota capitale, diventassero a loro volta “nuovo” capitale su cui calcolare gli interessi passivi nel nuovo trimestre, e così a seguire. Si innescava così un meccanismo gravante sul debitore in misura evidentemente superiore a quanto il legislatore ha inteso disciplinare.
Uno scenario quale quello della capitalizzazione degli interessi permetteva infatti alle banche di ottenere migliori margini da interesse, e al correntista di far fronte a oneri molto più elevati, superando in alcuni casi anche quanto previsto dal tasso soglia Bankitalia. L’intervento della Legge di stabilità 2014 fu invece indirizzato a favorire una simmetria tra gli interessi creditori e quelli debitori, evitando che gli interessi passivi venissero imputati a conto capitale e trattandoli separatamente.
D.L. 18/2016 Anatocismo bancario
Successivamente alla Legge di stabilità 2014 è poi intervenuto in maniera ancora più specifica il D.L. n. 18/2016, convertito successivamente nella legge n. 49/2016 con l’art. 17-bis. Con questo il legislatore ha rimesso mano all’articolo 120 del T.U.B. precisando come il divieto di capitalizzazione degli interessi si applica solo agli interessi debitori ad eccezione di quelli di mora. Precisa inoltre che tali interessi sono calcolati solo sul capitale. Ha introdotto inoltre due condizioni per gli interessi sulle aperture di credito regolate in conto corrente e in conto di pagamento e sugli sconfinamenti in assenza di affidamento od oltre il limite del fido. Tale condizioni prevedono che:
- si conteggino gli interessi al 31 dicembre e diventino esigibili il 31 marzo dell’anno successivo al quale sono maturati. Nel caso in cui il rapporto venga chiuso definitivamente gli interessi sono esigibili immediatamente;
- è prevista la possibilità di autorizzare l’addebito su conto corrente degli interessi esigibili la cui somma addebitata è considerata quota capitale. L’autorizzazione può essere sempre revocata prima dell’avvenuto addebito.
Da quel momento in poi si è aperto un intenso dibattito giurisprudenziale, con sentenze che in misura maggioritaria hanno tuttavia permesso di conseguire una tutela più spiccata nei confronti dei correntisti / mutuatari.
Delibera CICR 343/2016 Anatocismo bancario
A contribuire ad un’ulteriore chiarezza del tema ha poi pensato la delibera del CICR n. 343 del 3 agosto 2016. Questa ha stabilito – in coordinamento con l’articolo 120 del T.U.B. – che:
- gli interessi debbano essere contabilizzati separatamente dal capitale;
- gli interessi debitori divengono esigibili dal 1° marzo dell’anno successivo a quello in cui sono maturati. Ha così indotto la contabilità bancaria a tenere separati i debiti in linea capitale dagli interessi in maturazione.
Una nuova pronuncia della Cassazione di cui si tratterà nel paragrafo successivo va a rafforzare ulteriormente la posizione di tutela del debitore.
L’ultimo intervento della cassazione
La Corte di Cassazione è tornata poi ad esprimersi sul divieto di anatocismo bancario, dichiarando l’illegittimità di questa prassi. In particolare, nella sua ordinanza n. 24293 del 16 ottobre 2017, gli Ermellini hanno seccamente espresso il loro rifiuto sulla pratica della capitalizzazione degli interessi sui conti correnti.
In particolare, nell’ordinanza si legge che:
gli usi bancari in materia di anatocismo non hanno alcun valore normativo, ed una volta disconosciuta la loro natura di fonte di diritto la disciplina applicabile non può che essere quella legale, a meno che non vi sia stata una successiva pattuizione in merito alla capitalizzazione degli interessi. In caso contrario, ovvero nel caso in cui si faccia riferimento agli usi bancari e non a successive pattuizioni, mai gli interessi potranno produrre interessi se non a partire dalla data della domanda giudiziale.
Peraltro, in questa occasione la Suprema Corte ha avuto modo di esprimersi su un rapporto di conto corrente bancario sorto prima del 2000 e regolato secondo gli usi bancari. Ha affermato inoltre che in tale ipotesi la prassi in materia di anatocismo bancario non può rivestire alcun valore di natura normativa.