Pignoramento quote fondi comuni di investimento – guida rapida
Le quote dei fondi comuni di investimento si possono pignorare? E il pignoramento a chi va notificato?
Ad occuparsi di tale tema è stato il Tribunale di Napoli con la sentenza n. 2833 dell’11 marzo 2024, che ha portato alla luce diversi interessanti spunti in questo ambito.
In particolare, per ciò che rileva oggi, i giudici del tribunale campano hanno ricordato come la questione della pignorabilità o meno dei titoli in possesso del debitore presso la banca collocatario non può che basarsi sulla preliminare analisi delle normative primarie in materia, e cioè il d.lgs. n. 58 del 24.02,1998, il Testo Unico Finanziario (TUF) ed il Regolamento sulla gestione collettiva del risparmio (provvedimento della Banca d’Italia del 19.01.2015).
A margine di ciò, i giudici hanno proceduto a riepilogare quali siano le principali decisioni giurisprudenziali in materia. La più nota è la sentenza della Cassazione, Sez. III civ., n. 4653/2007, che ha riconosciuto che il pignoramento sui titoli in custodia e amministrazione (art. 1838 c.c.), deve essere eseguito nella forma presso terzi e non presso il debitore.
Viene altresì citata la Decisione n. 12914/2017 dell’Arbitro Bancario Finanziario (Coll. di Milano), che soffermandosi sul ruolo delle banche collocatrici dei fondi comuni di investimento, ha affermato che le stesse, in sede di dichiarazione di terzo, hanno l’obbligo di informare i creditori procedenti dell’esistenza, in capo al debitore pignorato, del rapporto di collocamento delle quote di fondi, in virtù del possesso ex art. 547 c.p.c..
Pignorare le quote dei fondi comuni, cosa dice la legge
La possibilità di pignorare le quote di fondi comuni di investimento si evince peraltro già dal primario dettato normativo di cui sopra, secondo cui “le azioni dei creditori dei singoli investitori sono ammesse soltanto sulle quote di partecipazione dei medesimi” (art. 36, comma 4, TUE).
Peraltro, questa previsione era già presente nella l. 77/1983, laddove veniva istituiti i fondi comuni di investimento mobiliare aperti, e al cui art. 3, comma 2, si statuiva che
i creditori dei singoli partecipanti possono far valere i loro diritti esclusivamente sui certificati di partecipazione di questi ultimi.
Allo stesso modo, questa regola venne ribadita anche dalla l. 344/1993, che introduceva i fondi comuni di investimento mobiliare chiusi, e al cui art. 8, comma 6, disponeva che
le ragioni dei creditori dei singoli partecipanti sono ammesse soltanto sulle quote di partecipazione dei medesimi.
Queste disposizioni normative sono poi state abrogate con l’introduzione del d.lgs. n. 58/1998, che ha rinunciato alla tipizzazione dei fondi comuni, demandandone l’individuazione alla disciplina regolamentare del Ministero dell’Economia e della Banca d’Italia.
Le decisioni giurisprudenziali sul pignoramento delle quote di fondi comuni
Passando poi alle decisioni giurisprudenziali in materia, quali successive all’introduzione del TUF, inizialmente il dibattito era focalizzato se il pignoramento delle quote di fondi comuni, o più in generale degli strumenti finanziari, dovesse essere attuato nei confronti del debitore ovvero del terzo intermediario.
La risposta a questa questione giunse con la pronuncia della Suprema Corte del 2007 (Cass. civ. Sez. II, ud. 08.01.2007, depositato il 28.02.2007, n. 4653), che affrontò la vertenza durante un processo di espropriazione forzata di crediti presso terzi. La Banca, in sede di dichiarazione di terzo, aveva precisato di avere vincolato la somma pignorata sul deposito titoli in custodia e amministrazione in essere in capo al debitore, segnalando, però che il credito vantato da costui sarebbe risultato definitivo solo al momento della vendita e in base al corrispondente valore di mercato.
In quell’occasione il cliente dell’istituto di credito ritenne di sollevare la questione di nullità del pignoramento, perché eseguito nei modi previsti per l’espropriazione presso terzi invece che in quella dell’espropriazione mobiliare presso il debitore.
Il creditore procedente, successivamente, richiesta l’assegnazione delle somme pignorate pretese anche che fosse fissato un termine per l’accertamento dell’obbligo del terzo, la cui dichiarazione aveva considerato elusiva.
All’udienza il giudice dell’esecuzione dapprima rifiutò l’adozione dei provvedimenti richiesti e contro l’ordinanza con cui era stata affrontata la nullità del pignoramento venne proposta l’opposizione agli atti esecutivi da parte del creditore procedente. L’opposizione venne in seguito rigettata dal tribunale ordinario che dichiarò la nullità del pignoramento dando ragione alle doglianze del debitore.
Contro tale sentenza il creditore procedente propose impugnazione ottenendo la cassazione in base ad un motivo di violazione di norme di diritto.
Le motivazioni della sentenza
Leggendo le motivazioni nella sentenza, si sostiene che dopo l’entrata in vigore del d.lgs. 213/1998 il pignoramento non può essere eseguito presso il debitore. L’eccezione alla regola afferma però che “in una situazione di questo tipo, il procedimento esecutivo avrebbe potuto proseguire o attraverso l’assegnazione dei titoli o attraverso la loro vendita e la successiva assegnazione del ricavato nei limiti del credito fatto valere esecutivamente e delle spese del processo”.
Insomma, per la Corte l’art. 1997 c.c. dispone che il pignoramento sul diritto menzionato in un titolo di credito non ha efficacia se non si attua sul titolo. Il valore di tale disposizione sta nel fatto che, se il pignoramento cadesse sul credito, attraverso l’ingiunzione rivolta al terzo di non pagare al proprio debitore, visto che non ne risulterebbe impedita la circolazione del titolo rappresentativo del credito emesso o girato dal terzo a favore del suo creditore, il terzo si troverebbe esposto ad un doppio pagamento. Da una parte, infatti, dovrà farlo al creditore procedente assegnatario del credito pignorato. Dall’altra parte, dovrà procedere al portatore del titolo, legittimato in base ad esso a pretenderne il pagamento.
Il possesso del titolo di credito
Partendo da ciò, prosegue la sentenza della Corte di Cassazione a cui si richiama il ragionamento, “quante volte il titolo di credito è in possesso di un terzo, com’è nel caso del deposito di titoli in amministrazione (art. 1838 c.c.), che attribuisce al depositario la legittimazione ad esercitare per il depositante; diritti nascenti dal titolo, ma non gli trasferisce la titolarità del credito, il pignoramento ben si può eseguire presso il terzo, perché, così facendo, non si determina il pericolo che chi è debitore in base al titolo possa essere chiamato a pagare due volte a causa della circolazione del titolo. Di questo ne è impedita la circolazione attraverso la modificazione del titolo della legittimazione del depositario del documento in custode giudiziario dello stesso, ciò che comporta che il depositario diverrà dal momento del pignoramento anche custode dei frutti del credito rappresentato dal titolo”.
Il titolo – conclude poi la decisione – “diviene possibile oggetto di pignoramento, come ogni cosa posseduta dal terzo (art. 543 c.p.c). Quanto ai titoli, che in base al d.lgs. 24.06,1998, n. 213, sono assoggettati alla disciplina della dematerializzazione, il pignoramento dei diritti velativi agli strumenti finanziari di pertinenza del debitore analogamente è eseguibile presso il terzo, intermediario incaricato dal debitore della tenuta del conto in cui quegli strumenti sono registrati. Rientra nei doveri del custode, e perciò dell’intermediario costituito tale per effetto del pignoramento, eseguire la registrazione del vincolo nel conto da b tenuto (art. 34, comma 1, TUF)”.
Per i giudici, insomma, è pacifica la possibilità del creditore di vedere soddisfatte le sue ragioni mediante il pignoramento delle quote di fondi comuni di investimento di spettanza del debitore nei confronti di un terzo intermediario.
L’individuazione del terzo intermediario
La questione successiva è l’esatta individuazione di tale terzo intermediario a cui, evidentemente, andrà notificato l’atto di pignoramento.
In particolare, entrando nel merito, il nodo della vicenda è rappresentato dal fatto se il pignoramento debba essere notificato:
- alla banca collocatrice, che ha il compito di far sottoscrivere le quote ai clienti per conto della SGR;
- alla banca depositaria, che è colei che detiene le liquidità degli OICR;
- o alla SGR emittente le quote dei fondi comuni di investimento.
Di solito il dubbio si risolve concretamente mediante comune notifica del pignoramento ad almeno due dei soggetti menzionati (banca collocatrice e SGR). La questione prosegue però se si deve affrontare il parallelismo di cui all’art, 547 c.p.c. che impone al debitore di specificare “di quali cose o quali somme è debitore si trova in possesso”, dando inoltre atto degli ulteriori pignoramenti /sequestri eseguiti presso di lui.
Il tema è stato affrontato per la prima volta dall’Arbitro Bancario Finanziario con Decisione n. 12914 del 18.10.2017 (Coll. di Milano).
In quell’occasione, la controversia traeva origine da una dichiarazione di terzo da parte della banca collocatrice, la quale, tra i vari rapporti intrattenuti dalla cliente pignorata, ha precisato l’esistenza di un dossier titoli contenente quote di fondi comuni di investimento, ma inserite quali “mera evidenza del diritto di credito vantato dal sottoscrittore nei confronti della Società di Gestione del Fondo, che è l’unico soggetto debitore e pertanto, per la costituzione del vincolo su di esse, è necessario che l’atto di pignoramento sia notificato direttamente alla Società emittente (…). La mancata notifica effettuata come sopra indicato potrebbe consentire all’esecutato il diretto disinvestimento delle quote medesime presso la Società emittente, con esonero di responsabilità per la scrivente Banca”.
Il richiamo all’art. 547 c.p.c.
Sul punto, l’Arbitro richiama l’art. 547 c.p.c. chiarendo come la banca, anche se non è diretta debitrice della ricorrente in riferimento alle quote di fondi comuni di investimento, ne era non di meno “detentore titolato e custode” in forza del contratto di deposito in essere tra le parti.
Si tratta di una qualità che va ricompresa entro la nozione allargata di “possesso” di cui all’art. 547 c.p.c.
Alla luce di ciò, si ritiene corretta l’interpretazione fornita dall’ABF. L’Arbitro aveva infatti respinto la tesi della violazione del segreto bancario lamentata dalla ricorrente, sull’assunto che il terzo pignorato, dall’altro lato, ha l’obbligo di fornire tutti gli elementi che consentano l’esatta individuazione delle cose possedute, nonché indicarne i motivi per cui queste si trovano presso di lui.
Infatti, come concluso, non vi è il dubbio che la banca collocatrice avesse “non soltanto il potere, bensì il preciso dovere di segnalare al creditore procedente la presenza di prodotti finanziari de quibus, specificando le ragioni per e quali essi non avrebbero potuto essere oggetto di “blocco’ in esito all’intervenuto pignoramento”.
Il ragionamento che viene richiamato è dunque questo: la dichiarazione resa dalla banca che precisa il rapporto di collocamento di quote di fondi comuni di investimento, indicandone il relativo controvalore di mercato, deve essere intesa necessariamente come positiva, anche se nella prassi, sia frequentemente sottolineata dalle banche collocatrici la natura non debitoria del rapporto di mero collocamento dei fondi comuni nei confronti del cliente.
L’estensione del pignoramento delle quote di fondi
Come conseguenza da quanto sopra, la banca avrà l’onere di invitare il creditore procedente all’estensione del pignoramento direttamente nei confronti della società emittente, onde evitare possibili richieste di rimborso a quest’ultima da parte del debitore pignorato.
Appurato quanto precede, concludono i giudici di legittimità, ovvero la sostanziale equivalenza tra banca collocatrice, che possiede le quote di fondi comuni, e SGR che invece ne è diretta debitrice nei confronti del medesimo cliente-sottoscrittore, si può ritenere che in caso di pignoramento nei confronti della sola banca collocatrice, quest’ultima, nel rendere la dichiarazione di terzo di cui all’art. 547 c.p.c., avrà anche l’onere di precisare l’esistenza di un dossier titoli contenente un numero di quote di fondi comuni d’investimento sino alla concorrenza del quantum pignorato ex art. 546 c.p.c., indicando il relativo controvalore di mercato e dando atto che tali quote risultano collocate per conto della SGR emittente, sebbene quest’ultima, è bene ribadirlo, sia da considerarsi l’unica debitrice nei confronti del fondista sottoscrittore.
Di conseguenza, l’orientamento giurisprudenziale prevalente è quella che prevede la vendita delle quote a mezzo commissionario e successiva assegnazione del ricavato in favore del creditore.