Il coltivatore e il fondo – indice:
Ieri abbiamo introdotto il concetto di prelazione agraria, soffermandoci sulle caratteristiche di questo diritto e sul suo funzionamento.
È oggi il momento di compiere un passo in avanti nell’approfondimento di tale diritto, cercando di comprendere che cosa, normativa e giurisprudenza, abbiamo previsto per la nozione di coltivatore diretto, e per quella di “fondo”.
Il coltivatore diretto
Cominciamo dalla figura del coltivatore diretto, alla luce del fatto che per poter applicare la prelazione agraria è necessario, appunto, rivestire tale status (lo stesso, peraltro, può ben dirsi per quanto concerne la prelazione agraria esercitata dal confinante).
In tale ambito, la nozione di coltivatore diretto è ben desumibile dall’art. 1647 c.c., secondo cui
quando l’affitto ha per oggetto un fondo che l’affittuario coltiva col lavoro prevalentemente proprio o di persone della sua famiglia, si applicano le norme che seguono sempre che il fondo non superi i limiti di estensione che, per singole zone e colture, possono essere determinati dalle norme corporative.
e, ancora, dall’art. 31 della l. 590/65, secondo cui
sono considerati coltivatori diretti coloro che direttamente ed abitualmente si dedicano alla coltivazione dei fondi ed all’allegamento ed al governo del bestiame, sempreché la complessiva forza lavorativa del nucleo familiare non sia inferiore ad un terzo di quella occorrente per la normale necessità della coltivazione del vino e per l’allevamento ed il governo del bestiame.
e, infine, dall’art. 6 della l. 203/1982, che ribadisce che
sono affittuari coltivatori diretti coloro che coltivano il fondo con il lavoro proprio e della propria famiglia, sempreché tale forza lavorativa costituisca almeno un terzo di quella occorrente per le normali necessità di coltivazione del fondo, tenuto conto, agli effetti del computo delle giornate necessarie per la coltivazione del fondo stesso, anche dell’impiego delle macchine agricole.
Il contratto agrario
Partendo da tale spunto, si tenga conto che è ancora la l. 203/1982, all’art. 48, a stabilire che l’instaurazione del rapporto agrario debba essere effettuato direttamente con la famiglia del coltivatore, ritenuta dunque titolare dell’impresa familiare coltivatrice.
Da quanto sopra si può pertanto comprendere come per il legislatore il diritto di prelazione spetta non solamente al formale titolare del rapporto agrario, ovvero all’affittuario agricolo, bensì a qualunque soggetto che compone la famiglia coltivatrice, ancorché tale persona non sia parte formale del contratto agrario.
Tale spunto ben collima con quanto previsto dal successivo d.lgs. 99/2004, che introduce la figura dell’imprenditore agricolo professionale, prevedendo che la società agricola possa rivestire ogni forma societaria. Tuttavia, non sfugge come l’intervento normativo riservi il diritto di prelazione alle sole società agricole di persone.
Sempre su questo tema, citiamo il precedente d. lgs. 228/2001, che ha avuto il merito di introdurre la figura dell’imprenditore agricolo a titolo principale. La norma ha l’obiettivo di prevedere un criterio di priorità quando i coltivatori che intendono esercitare il diritto di prelazione siano più di uno.
Per effetto di tale norma, hanno diritto di esercitare il diritto di prelazione prima di tutto i giovani proprietari coltivatori, ancorché vi intervengano come soci di cooperativa. In secondo grado potranno esercitare il diritto di prelazione i proprietari più numerosi. In terzo grado, potranno intervenire i proprietari coltivatori che risultano essere più organizzati sotto il profilo della professionalità, stando ai criteri della normativa comunitaria in vigore.
Il fondo
Giungiamo dunque alla definizione di fondo. Un termine apparentemente piuttosto ampio, ma che la normativa sulla prelazione ha ricondotto al solo concetto di fondo con destinazione agricola.
Da tale spunto ne deriva che non è possibile esercitare la prelazione per edifici e fondi che abbiano una destinazione diversa da quella agricola. Come peraltro affermato da autorevole giurisprudenza.
La stessa opinione giurisprudenziale, consolidata, ritiene inoltre che a tal fine non rilevi la dimensione del fondo, potendo pertanto rientrare nella prelazione agraria anche i piccoli appezzamenti di terreno agricolo. Non rileva nemmeno la tipologia di coltivazione praticata. Né il fatto che il fondo agricolo sia attualmente coltivato o meno (è sufficiente che “possa” essere coltivato, anche in futuro). Né – infine – che il terreno sia coltivato a bosco, considerato che anche i boschi sono suscettibili di prelazione agricola.
Tra le altre interpretazioni di maggiore rilievo, ci limitiamo ad accennare brevemente che non fa venir meno il diritto di prelazione una eventuale parziale destinazione agrituristica del fondo. E, sulla stessa stregua, l’esistenza di un caseggiato nel fondo, ammesso che sia strumentale alla coltivazione del terreno.
Infine, si noti come la l. n. 590/1965 all’art. 8 stabilisce che la prelazione non è consentita quando i terreni in base a piani regolatori, anche se non ancora approvati, siano destinati ad utilizzazione edilizia, industriale o turistica. L’ipotesi di ristrutturazione di casa colonica in civile abitazione, con conseguente destinazione del terreno a servizio ed ornamento della stessa, non comporta poi l’insorgenza del diritto di prelazione da parte del coltivatore diretto / proprietario, al fondo confinante. A patto che, ovviamente, rimanga accertata la perdita definitiva e irreversibile della vocazione agricola del terreno.