Lasciare solo l’anziano genitore: quando è reato – indice:
Con la sentenza n. 44098/2016 la Corte di Cassazione ha sancito che lasciare da solo il genitore anziano può costituire ipotesi di abbandono di persone incapaci e, di conseguenza, può configurare la violazione dell’art. 591 del codice penale. Nel caso in esame, il padre anziano della ricorrente si trovata in uno stato di precaria salute e, mediante un sostanziale abbandono, sarebbe stato messo in una condizione di pericolo.
La condanna per abbandono di persone incapaci
La ricorrente, figlia del genitore abbandonato, era stata condannata dal tribunale di primo grado, con sentenza poi confermata dalla Corte d’appello di Bari, che ha ribadito come la donna fosse colpevole di abbandono di persone incapaci. La donna presentava tuttavia ricorso, lamentando una errata applicazione dell’art. 591 del codice penale, poiché riteneva che la Corte d’appello avesse mal interpretato la disposizione, che sarebbe integrata dal pericolo per l’incolumità fisica derivante dall’inadempimento dell’obbligo di assistenza, che non gravava sull’imputata, in quanto il padre non era affidato alla sua custodia. In aggiunta a ciò, nel suo ricorso la donna precisava che era nell’impossibilità di assistere il padre in quanto impegnata nell’assistenza di tre figli ed aveva avuto più gravidanze a rischio.
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La decisione della Cassazione sull’abbandono di incapaci
Per quanto concerne il primo motivo (l’errata applicazione dell’art. 591 del codice penale), la Cassazione ritiene infondato il ricorso. La Suprema Corte ribadisce infatti che “l’elemento oggettivo del reato di abbandono di persone minori o incapaci, di cui all’art. 591 cod. pen., è integrato da qualsiasi condotta, attiva od omissiva, contrastante con il dovere giuridico di cura (o di custodia), gravante sul soggetto agente, da cui derivi uno stato di pericolo, anche meramente potenziale, per la vita o l’incolumità dei soggetto passivo.” Ulteriormente, gli ermellini sottolineano come si debba chiarire “che dalle sentenze di merito emerge senza margini di dubbio lo stato di pericolo concreto per la salute, in cui era da lungo tempo il padre della ricorrente; tale condizione, presupposto dei reato in parola, del resto, è stata posta in discussione dal ricorso solo con inammissibili argomenti in fatto, attraverso un’interpretazione alternativa delle deposizioni (di due testimoni, ndr)”.
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Le motivazioni
Ancora, sottolinea la Corte, deve essere osservato come “il primo Giudice ha ampiamente motivato sul tema del dovere giuridico, oltre che morale, di cura ravvisabile in capo all’imputata verso il padre, tramite una corretta interpretazione sistematica delle norme di livello costituzionale riguardanti il riconoscimento della famiglia come società naturale ( art 29 Cost), il suo inquadramento tra le formazioni sociali ove si svolge la personalità dei singoli e l’adempimento dei doveri di solidarietà sociale ( art 3 Cost), nonchè di quelle del codice civile che impongono il dovere di rispetto dei figli verso i genitori, che diventa concretamente stringente in caso di stato di bisogno ed incapacità del singolo a provvedere al proprio mantenimento ( art 433 cc)”.
La norma richiamata dalla sentenza d’appello sarebbe altresì ben integrata con l’indirizzo giurisprudenziale assunto dalla stessa Corte di Cassazione. In più occasioni (e anche in tempi recenti) ha ritenuto “il valore etico sociale della sicurezza personale come bene/interesse tutelato dalla norma incriminante, senza porre limiti nell’individuazione delle fonti da cui derivano gli obblighi di assistenza e cura”.
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La tutela dell’articolo 591 del codice penale
Introdotto ciò, si passa agevolmente all’analisi dell’art. 591 cod. pen., che ha l’obiettivo di tutelare il valore etico-sociale della sicurezza della persona fisica contro determinate situazioni di pericolo. “In questa prospettiva, nessun limite si pone nella individuazione delle fonti da cui derivano gli obblighi di custodia e di assistenza che realizzano la protezione di quel bene e che si desumono dalle norme giuridiche di qualsivoglia natura, da convenzioni di natura pubblica o privata, da regolamenti o legittimi ordini di servizio, rivolti alla tutela della persona umana, in ogni condizione ed in ogni segmento del percorso che va dalla nascita alla morte” – ricordano i giudici. Pertanto, in corrispondenza di ogni situazione che esige tale protezione fa riscontro uno stato di pericolo che esige un pieno attivarsi, “sicché ogni abbandono diventa pericoloso e l’interesse risulta violato quando la derelizione sia anche solo relativa o parziale” – sottolineano gli ermellini.
La Corte di Cassazione si sofferma infine sul dovere di cura gravante sulla donna, che sosteneva invece di non aver “mai avuto in custodia il padre”. Un motivo di ricorso che la Corte non ritiene condivisibile, in considerazione dell’ampia e consolidata nozione di obbligo di cura ed assistenza elaborata dalle stesse precedenti pronunce della stessa Corte.