Conto corrente bancario cointestato – indice:
- Cos’è il conto cointestato
- La pertinenza del denaro presente sul conto
- La donazione e i prelevamenti dal conto
- L’attribuzione dei fondi del conto corrente
- Le decisioni in Cassazione
- Le conclusioni
Il conto corrente bancario cointestato è un rapporto molto diffuso tra i correntisti italiani. Si pensi ai conti tra marito e moglie, o a quelli tra genitori e figli. O, ancora e come vedremo nel nostro odierno approfondimento, tra “assistiti” e badanti.
Ma qual è l’operatività concessa nel conto corrente bancario cointestato?
Prendendo spunto da una recente ordinanza in questa materia, abbiamo scelto di occuparci di questo tema nella sua interezza, senza perdere di spunto la necessità di fornire un coerente quadro di sintesi.
Cos’è il conto cointestato
Cominciamo con una piccola premessa.
Tra gli strumenti bancari più frequentemente disponibili per poter gestire comodamente e in maniera flessibile i propri fondi c’è sicuramente il conto corrente cointestato.
Come suggerisce lo stesso nome di questo prodotto, il conto corrente cointestato è un conto cointestato a due o più soggetti. Ovvero, è un rapporto bancario che è comune a più persone che, nel momento dell’apertura dello stesso, hanno scelto di condividerne l’operatività.
Sono disponibili diverse forme di conto corrente cointestato. E, come ben noto, la differenza principale è legata al “potere di firma”. Ovvero, alla possibilità che sul conto possano essere compiute operazioni a cura di una o più persone, disgiuntamente o congiuntamente.
In particolare, nel conto corrente a firma disgiunta:
ogni correntista (cointestatario) può effettuare le operazioni senza necessità di reperire la firma autorizzativa delle altre parti cointestatarie.
Di contro, nel conto corrente a firma congiunta:
i correntisti devono autorizzare le operazioni dispositive sul conto, essendo dunque impossibile per ciascuno di essi disporre dei fondi depositati sul conto.
Naturalmente, quando si sceglie se aprire un conto corrente a firma congiunta o a firma disgiunta, è molto importante comprenderne ogni risvolto.
Il conto corrente a firma disgiunta è sicuramente quello più agevole da utilizzare. Ma, in buona sostanza, potrebbe esporre al rischio che ciascuno dei correntisti utilizzi lecitamente tutte le somme come meglio ritiene opportuno. E senza autorizzazione degli altri cointestatari.
Di contro, nel caso in cui si decida di aprire un conto corrente a firme congiunte, significherà evidentemente optare per una forma tecnica di conto più cautelativa, ma dalla difficile gestione. Potrebbe infatti essere arduo organizzare la presenza di tutti i correntisti, in uno stesso giorno e in una stessa ora, per poter effettuare qualsiasi operazione.
La pertinenza del denaro presente sul conto
A questo punto possiamo fare un piccolo passo in avanti nell’approfondimento odierno, e introdurre l’interessante spunto proposto dalla sentenza n. 15966/2020 della Corte di Cassazione.
Gli Ermellini si sono occupati di un caso specifico, non raro nel nostro Paese, legato alla cointestazione di un conto corrente tra un uomo e la badante che se ne prendeva cura.
Ebbene, la Cassazione ha in tal senso chiarito che nel caso in cui non si riesca a fornire la prova relativa alla esclusiva provenienza del denaro presente su un conto cointestato da uno dei due titolari, allora si presume la contitolarità.
In breve, il caso trae origine dal ricorso in Cassazione di una donna che aveva assistito un anziano nello svolgimento delle attività quotidiane. La stessa aveva prelevato dal conto cointestato con l’assistito una somma pari a 24.000 euro. I versamenti in questione recavano le causali “contratto di lavoro” e “aiuto economico”. Secondo i giudici di prime cure, che hanno condannato la donna alla restituzione della somma, non legittimavano la badante a trattenere detti importi.
Per quanto concerne infatti il contratto di lavoro, la lavoratrice aveva già ammesso di aver ricevuto tutti gli emolumenti dovuti. Faceva eccezione del solo tfr, per cui aveva domandato il decreto ingiuntivo. E, pertanto, nella causale dei prelevamenti non poteva certamente riconoscersi un inadempimento del debito insorto da parte del datore di lavoro.
I giudici escludevano inoltre la legittimità al prelievo anche sulla base della seconda casuale, “aiuto economico”.
Donazione e prelevamenti dal conto cointestato
Per i giudici territoriali, infatti, una simile causale escludeva di per sé un adempimento ipotetico dell’obbligo retributivo. Bensì, tale causale denotava la “gratuità della disposizione patrimoniale”, che la rendeva dunque assimilabile a una donazione, e che non poteva certamente ritenersi di modico valore.
Non poteva – aggiungono i giudici – aversi riguardo al solo profilo soggettivo, che è desumibile dalle condizioni economiche del donante. Bisogna invece aver riguardo anche all’aspetto oggettivo dell’atto, che è rilevato dal giudice adito. E che, in sintesi, aveva:
- richiamato l’importo consistente dei bonifici, rapportati all’entità della retribuzione,
- la loro continuità nel breve arco temporale in cui i prelevamenti stessi erano stati effettuati.
In tal proposito, poi, la Corte territoriale richiama la giurisprudenza sulla nullità della donazione che è contenuta in una scrittura privata, qualsiasi sia la denominazione dell’atto. Dunque, l’imprescindibilità della forma dell’atto pubblico per la validità di ogni donazione, sebbene contenuta in un accordo di separazione consensuale, per cui è sempre necessaria l’assistenza di due testimoni.
Viene inoltre richiamata la nozione di donazione indiretta come negozio indiretto, costituente risultato del collegamento tra due atti, e consistente nell’elargizione di una liberalità che viene attuata non con il negozio tipico descritto dall’art. 769 c.c., bensì con un negozio oneroso che produce – in concomitanza con l’effetto diretto che gli è proprio e in collegamento con altro negozio – l’arricchimento animo donandi del destinatario della liberalità medesima.
Ne deriva dunque l’ulteriore nullità della donazione diretta di una somma di denaro anche nell’ipotesi di trasferimento di titoli dal conto deposito del donante al conto deposito del donatario.
Sempre per i giudici territoriali andava inoltre disattesa la contestazione dell’appellante, secondo cui la nullità della donazione sarebbe stata pronunciata in violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato. Una vicenda lungamente discussa dai giudici, dopo che la controparte aveva già prospettato il fatto che il prelievo da parte del correntista che non ha effettuato versamenti non può costituire una donazione indiretta a suo favore, e che l’eventuale donazione indiretta sarebbe stata nulla per difetto di requisito della forma solenne.
L’attribuzione dei fondi sul conto corrente
La ricorrente denunciava pertanto il fatto che i giudici di merito avessero erroneamente attribuito la titolarità esclusiva del conto corrente, di cui ai prelievi effettuati dalla stessa per 24 mila euro, all’uomo. Invece, sosteneva ancora la donna, trattandosi di conto cointestato, avrebbe dovuto presumersi la titolarità in parti uguali di quanto depositato, sia a credito che a debito. Cosa che, però, non si era verificato.
Secondo la ricorrente sarebbe stato violato anche il disposto dell’art. 2697 c.c., quanto al reso delle somme del conto corrente cointestato, senza motivazione sull’eccezione di comproprietà che era stata formulata. L’appellante aveva così reiterato la presunzione di proprietà in parti uguali ex artt. 1101 e 1298 c.c. delle somme cointestate.
Aveva quindi assunto “solo ed esplicitamente, per mera ipotesi, in ogni caso, la natura di donazione indiretta della cointestazione con riferimento alle somme che avrebbero dovuto risultare provate essere state versate dal solo de cujus”.
Le decisioni in Cassazione
La Corte di Cassazione ha ribadito il principio secondo cui nel conto corrente bancario cointestato, ovvero intestato a due o più persone, nel disciplinare i rapporti interni non trova applicazione l’art. 1854 c.c., che regola i rapporti con la banca.
Nel caso in cui il conto sia intestato a più persone, con facoltà per le medesime di compiere operazioni anche separatamente, gli intestatari sono considerati creditori o debitori in solido dei saldi del conto.
Trova invece applicazione l’art. 1298, in base al quale:
Nei rapporti interni l’obbligazione in solido si divide tra i diversi debitori o tra i diversi creditori, salvo che sia stata contratta nell’interesse esclusivo di alcuno di essi.
Le parti di ciascuno si presumono uguali, se non risulta diversamente.
Dunque, si deve escludere – se il saldo attivo deriva dal versamento di somme di pertinenza di uno solo dei correntisti – che l’altro possa nel rapporto interno avanzare delle pretese su tale saldo. Non solo. Si deve anche escludere che, ove non si ritenga superata questa presunzione di parità delle parti, nei rapporti interni ogni cointestatario anche se avente facoltà di compiere operazioni disgiuntamente, possa disporre in proprio favore, senza il consenso espresso o tacito dell’altro, della somma depositata, in misura eccedente la quota parte di sua spettanza. E ciò in relazione sia al saldo finale del conto corrente sia all’interno svolgimento del rapporto di conto.
Conclusioni
Arriviamo dunque a estrapolare alcune conclusioni di particolare interesse su questa pronuncia da parte della Corte di Cassazione.
In particolare:
- nel conto corrente bancario intestato a due o più persone (conto corrente cointestato), i rapporto interni tra i correntisti non sono disciplinati ex art. 1854 c.c., che invece riguarda i rapporti con la banca;
- a disciplinare i rapporti tra correntisti è l’art. 1298 co. 2, sulla base del quale debiti e crediti solidali si dividono in quote uguali se non risulta diversamente;
- sulla base di quanto sopra si deve escludere che se il saldo attivo è determinato dal versamento di sole somme che sono di pertinenza di uno solo dei correntisti, l’altro possa avanzare delle pretese su tale saldo;
- anche nell’ipotesi in cui si superi questa presunzione di parità delle parti, deve essere escluso che nei rapporti interni ogni cointestatario, sebbene il rapporto sia a firma disgiunta, possa disporre in proprio favore della somma depositata in misura eccedente la quota parte di sua spettanza. Potrà naturalmente farlo – si intende – con il consenso espresso o tacito dell’altro.