Gli odori fastidiosi in condominio: quando è reato – indice:
Nell’ipotesi in cui gli odori della cucina arrivino a casa del vicino condominiale, potrebbero configurarsi i contorni di un reato. A sostenerlo è la Cassazione con la recente sentenza n. 14467/2017, secondo cui sono colpevoli ex art. 674 c.p. i proprietari di un appartamento condominiale che hanno provocato continue immissioni di fumi, odori e rumori, molestando così i propri vicini.
Getto pericoloso di cose
L’art. 674 del codice penale, rubricato “Getto pericoloso di cose” recita:
chiunque getta o versa, in un luogo di pubblico transito o in un luogo privato ma di comune o di altrui uso, cose atte a offendere o imbrattare o molestare persone, ovvero, nei casi non consentiti dalla legge, provoca emissioni di gas, di vapori o di fumo, atti a cagionare tali effetti, è punito con l’arresto fino a un mese o con l’ammenda fino a duecentosei euro.
La ratio della norma è evidentemente diretta a tutelare l’ordine pubblico, anche in ambito condominiale. Peraltro, per la sussistenza del reato è evidentemente indispensabile il requisito della potenzialità nociva, ovvero che la cosa gettata, versata o emessa sia diretta a molestare la persona.
Emissioni di odori in condominio
Nella sentenza in esame, due coniugi erano stati chiamati a rispondere della contravvenzione di cui all’art. 674 c.p., che sopra abbiamo esaminato in brevità, poiché, nella qualità di proprietari dell’appartamento al piano terra del fabbricato, provocavano continue immissioni di fumi, odori e rumori nel sovrastante appartamento del terzo piano di proprietà di altri due coniugi, molestandoli ed imbrattando l’alloggio da loro occupato.
Gli imputati presentavano, come unico motivo di ricorso, l’interpretazione dell’art. 674 c.p., che non sarebbe estensibile analogicamente alle emissioni di odori e che, “secondo la dottrina maggioritaria, è necessario che le emissioni siano atte ad offendere, imbrattare o molestare le persone e che siano vietate dalla legge, mentre nella fattispecie si trattava di emissioni di odori di cucina che, per loro natura, non erano atte ad offendere, imbrattare o molestare le persone e che certamente non erano vietate dalla legge”.
Con il ricorso, gli imputati hanno precisato che la giurisprudenza di legittimità che si era occupata dell’art. 674 c.p. con riguardo agli odori si era riferita alle “molestie olfattive” derivanti da attività industriali e solo agli odori che avevano superato il cosiddetto limite della stretta tollerabilità, che comunque avrebbe dovuto essere accertato a mezzo perizia. Con ciò, domandano l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata e l’assoluzione dal reato di cui all’art. 674 c.p., perché il fatto non sussiste.
Il giudizio di appello
Dinanzi a tale fattispecie, la Corte d’Appello di Trieste ha tuttavia escluso la possibilità di pronunciare l’assoluzione per insussistenza del fatto ed ha dichiarato invece la prescrizione, perché, non solo ha ritenuto correttamente sussunta la fattispecie concreta sotto la previsione dell’art. 674 c.p. che comprende anche le emissioni olfattive moleste, bensì ha valutato anche in modo congruo la prova dei fatti “raggiunta in primo grado attraverso le testimonianze delle persone offese, definite come chiare, precise, logicamente strutturate, ribadite in sede dibattimentale senza alcuna contraddizione ed esposte senza inutili enfatizzazioni, marcature o sottolineature di qualche aspetto della vicenda oltre il necessario e l’essenziale”.
Peraltro, la Corte territoriale ha valorizzato come riscontro esterno alla denuncia, la deposizione di un teste che era stato chiamato ad ispezionare professionalmente, a spese delle persone offese, la canna fumaria, aveva accertato che presentava una fessurazione verticale, che, a suo dire, era “certamente” la causa della fuoriuscita di odori, vapori, e finanche dei rumori e residui di combustione.
Pertanto, come peraltro precisato anche da precedente e recente giurisprudenza, “la contravvenzione prevista dall’art. 674 c.p. è configurabile anche nel caso di “molestie olfattive” a prescindere dal soggetto emittente (…) con la specificazione che quando non esiste una predeterminazione normativa dei limiti delle emissioni, si deve avere riguardo, condizione nella specie sussistente, al criterio della normale tollerabilità di cui all’art. 844 c.c., che comunque costituisce un referente normativo, per il cui accertamento non è necessario disporre perizia tecnica, potendo il giudice fondare il suo convincimento, come avvenuto nel caso di specie, su elementi probatori di diversa natura e dunque sulle dichiarazioni delle persone offese e del tecnico di loro fiducia”.