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Home » Civile » Condominio » Il rumore in condominio: quando il danno è risarcibile

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Il rumore in condominio: quando il danno è risarcibile

Avv. Beatrice Bellato consulenzalegaleitalia.it Il rumore in condominio: quando il danno è risarcibile
rumori-condominio
Avv. Beatrice Bellato

Il rumore condominiale: quando è risarcibile – indice:

  • Le immissioni illecite
  • La tollerabilità

In un tema molto ricorrente come quello del disturbo arrecato tra condomini a causa di un rumore ritenuto eccessivo proveniente dalla casa del vicino, il risarcimento può sussistere anche nel caso di mancato accertamento di un danno alla salute. Per la Cassazione, infatti, la mancanza di un danno biologico adeguatamente documentato non è impedimento per poter ottenere un risarcimento di un danno non patrimoniale, che consegua a immissioni illecite nelle ipotesi di lesione al diritto normale di svolgimento della vita familiare in casa propria.

La pronuncia n. 21554/2018 della Corte di Cassazione ha dunque accolto il ricorso di un condomino che aveva domandato un risarcimento dei danni subiti a causa della presenza dei rumori di un’officina vicina. Una pronuncia che va dunque a ribaltare quanto stabilito in sede d’Appello, con i giudici che hanno ritenuto che non poteva ritenersi provato il danno alla salute, nonostante le immissioni di rumore avessero privato il proprietario della possibilità di poter godere in modo pieno e pacifico della propria abitazione. Era dunque ritenuto risarcibile un unico danno, quale quello della compromissione del pieno svolgimento della vita domestica.

In particolare, l’importo liquidato in primo grado era stato oggetto di rideterminazione, considerato che il fatto che sulla base dei rilievi effettuabili, le immissioni superavano la soglia di tollerabilità solamente in un ambiente della casa, e in modo contenuto (oltre che, ovviamente, nel solo orario di apertura dell’officina).

Immissioni illecite e risarcibilità per il rumore condominiale

Si giunge così in Cassazione, dove gli Ermellini esordiscono affermando come la sentenza impugnata abbia correttamente affermato che non potesse ritenersi provato un danno alla salute, riconoscendo al peraltro al ricorrente il risarcimento del danno che deriva dalla lesione al normale svolgimento della vita familiare.

La Corte chiarisce in tal proposito che la mancanza di un danno biologico che sia adeguatamente documentato non impedisce la possibilità di ottenere un risarcimento del danno non patrimoniale. Ciò ove sia conseguente alle immissioni illecite, allorché siano stati lesi il diritto al normale svolgimento della vita familiare all’interno della propria abitazione e il diritto alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita quotidiane. Tali diritti sono garantiti dalla stessa Costituzione, e oggetto di tutela da parte della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

Affermato ciò, nell’ordinanza della Suprema Corte trova un accoglimento la censura del ricorrente secondo cui la Corte d’Appello avrebbe illegittimamente tenuto in considerazione la priorità temporale dell’attività commerciale esercitata rispetto alla destinazione abitativa, quale elemento che ha poi impattato sulla determinazione dei danni.

La tollerabilità del rumore condominiale

Per i giudici della Suprema Corte, infatti, l’art. 844 c.c. impone, nei limiti della valutazione della normale tollerabilità e dell’eventuale contemperamento delle esigenze della proprietà con quelle della produzione, la necessità di sopportare le inevitabili propagazioni che sono attuate all’interno delle norme generali e speciali che disciplinano l’esercizio della stessa attività. È altresì vero che l’accertamento del superamento della soglia di normale tollerabilità, però, comporterebbe nella liquidazione del danno da immissioni nocive l’esclusione di ogni criterio di contemperamento di interessi contrastanti e di priorità dell’uso, come invece prodotto dalla Corte d’Appello nelle proprie valutazioni.

Gli Ermellini ricordano infine che in questa ipotesi, di fatti, sarebbe considerata solo l’illiceità del fatto che ha generato il danno arrecato ai terzi, rientrando così nello schema dell’azione generale di risarcimento di cui al noto art. 2043 c.c., e più dettagliatamente, poi, nell’art. 2059 c.c. per quanto concerne il danno non patrimoniale oggetto di risarcimento.

Un criterio interpretativo che la sentenza della Corte d’Appello non sembra aver assunto nella dovuta considerazione, erroneamente valutando invece anche il criterio della priorità dell’uso nelle sue elaborazioni.

Invero, sottolineano ancora i giudici, la Corte di Cassazione ha oramai assunto come indirizzo consolidato che la valutazione equitativa, avendo ad oggetto un apprezzamento di fatto, viene sottratta al sindacato di legittimità, se immune da vizi logici e giuridici, mentre nel caso di specie uno dei criterio di determinazione del danno utilizzati dal giudice di merito risulterebbe errato, non potendo infatti ad esso fare riferimento ai fini della liquidazione del danno.

Avv. Bellato – diritto condominiale

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