I Buoni Postali fruttiferi ed i rendimenti – indice:
Con la sentenza n. 6430/2016 da parte della IV Sezione Civile del Tribunale di Catania, viene apportata un’interessante pronuncia che non potrà che far piacere a tutti i titolari di buoni fruttiferi postali e, in maniera ancora più particolare, a quelli che hanno avuto la titolarità di quei buoni emessi tra il 1974 e il 1986 (naturalmente, in lire) e che si sono visti modificare la serie del Buono, con conseguente rendimento, con una mera applicazione di timbro.
Facciamo dunque un passo indietro per poter ricostruire la vicenda. Vediamo cosa è cambiato per tutti i possessori dei titoli i cui rendimenti sono stati decurtati in seguito al decreto del governo Goria risalente al 1983.
I buoni fruttiferi postali
Come noto, i buoni fruttiferi postali rappresentano uno strumento di risparmio particolarmente apprezzato da quella clientela che, come cassettista, preferiva ottenere un rendimento certo e discreto, a rischi praticamente pari a zero (i buoni sono un prodotto emesso da Cassa Depositi e Prestiti, e garantiti dallo Stato). Per questi vantaggi, i buoni sono largamente collocati dalle Poste presso il pubblico di risparmiatori. Anche per questo motivo hanno sempre degli ottimi risultati in termini di raccolta.
Nel 1983, tuttavia, l’allora esecutivo Goria si rese conto che in realtà lo strumento dei buoni fruttiferi postali non era proprio la forma più conveniente (per lo Stato) di poter reperire del denaro, con vantaggi che erano evidentemente considerato a eccessivo beneficio del risparmiatore. Per questo motivo il governo decise di emanare un decreto che, di fatto, andava a dimezzare i rendimenti dei buoni. La modifica era riportata in Gazzetta Ufficiale, senza tuttavia che le nuove condizioni del contratto fossero comunicate direttamente e singolarmente agli interessati. Molti di questi, ben inteso, vennero a conoscenza della “novità” (particolarmente sgradita, immaginiamo) solamente al momento dell’incasso e, dunque, a 30 anni di distanza dalla sottoscrizione.
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Le emissioni post decreto
Fin qui, le vicende fino al decreto del 1983, e i risvolti a distanza di decenni. Vi è tuttavia un altro tassello che rende il caso ancora più intricato, ed è relativo al fatto che Poste Italiane, nonostante l’intervento del governo, ha continuato a collocare i buoni con le indicazioni dei vecchi tassi di interesse, oggetto di dimezzamento, rifiutandosi poi di pagare ai tassi indicati nel buono e, di conseguenza, facendo scattare una lunga ondata di contenziosi.
Nel caso in esame al tribunale di Catania, Poste Italiane avrebbe “eccepito che l’emissione del titolo serie P è avvenuta per mero errore, atteso che detta serie Bpf non era più vigente dal 1984” e rifiutandosi pertanto, sulla base di tale valutazione, a corrispondere gli interessi indicati nel titolo stesso. Per il giudice siciliano, però, tale assunto non è condivisibile, poiché “la discrepanza tra le prescrizioni ministeriali e le indicazioni riportate sui buoni postali offerti in sottoscrizione alla richiedente deve essere risolta dando la prevalenza alle seconde“. Insomma, se c’è differenza tra quanto indicato come rendimento sul titolo di risparmio e quanto indicato dal governo senza comunicazione diretta all’interessato, bisogna tenere in considerazione quanto appare sul buono.
Prevale quanto scritto sul buono fruttifero postale
In aggiunta a quanto sopra il giudice ha ricordato come il buono fruttifero postale abbia “ad oggetto il contenuto enunciato dai buoni, anche quando in precedenza, con decreto ministeriale, siano state modificate le relative condizioni“. Ulteriormente, non sarebbe possibile “ritenere che la mera apposizione di un timbro che ne modifichi la serie e che si sovrapponga alla tabella di calcolo degli interessi possa superare il contenuto proprio del titolo per come emesso”.
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Sulla base di tali valutazioni, il giudice ha condannato Poste Italiane al pagamento dell’intero importo di un buono oggetto di fattispecie, oltre al risarcimento per le spese legali. Il controvalore che Poste Italiane dovrà sborsare non è certo molto rilevante, ma la pronuncia si inserisce in una strada ben tracciata in favore dei risparmiatori italiani, e potrebbe influenzare Poste Italiane inducendo il gruppo guidato da Caio ad adottare dei comportamenti massivi diversi nei confronti di altre situazioni non dissimili.