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Home » Commerciale » Lavoro » Cassa integrazione, quota TFR va sempre corrisposta

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Cassa integrazione, quota TFR va sempre corrisposta

Avv. Beatrice Bellato consulenzalegaleitalia.it Cassa integrazione, quota TFR va sempre corrisposta
tfr
Avv. Beatrice Bellato

La quota TFR che matura durante il periodo di cassa integrazione deve essere sempre corrisposta dal datore di lavoro al lavoratore, al di là di quelle che saranno le sorti del rapporto. Ad affermarlo è la recente sentenza n. 17051/2018 della Corte di Cassazione, che dunque conferma un orientamento di tutela del lavoratore.

TFR maturato durante la CIGS

Il caso trae origine dal ricorso presentato da alcuni ex lavoratori di una società fallita, datrice di lavoro, contro pronuncia del Tribunale che disattendeva le loro richieste di insinuazione al passivo, in prededuzione o in privilegio.

Tali insinuazioni avevano come oggetto gli importi che erano stati riconosciuti a titolo di Trattamento di Fine Rapporto (TFR), maturati prima della dichiarazione di fallimento, all’interno di un periodo di due anni di trattamento di CIGS (Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria). I giudici territoriali avevano rigettato le istanze richiamando il principio di cui alla sentenza n. 15978/2009 della Cassazione, secondo cui la quota di TFR maturata durante il periodo di CIGS gravava esclusivamente sull’Inps.

Dinanzi a tale rigetto, e alla conferma della sentenza di primo grado da parte della Corte d’Appello, gli ex lavoratori promuovevano ricorso in Cassazione contestando la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2 della legge 464/1972, e l’omesso esame di un fatto deciso per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti.

TFR in caso di sospensione dal lavoro

Così premesso la vicenda giunge in Corte di Cassazione, dove i giudici di legittimità dichiarano fondato il ricorso.

Nei motivi della decisione, gli Ermellini rammentano innanzitutto come la disciplina del trattamento di fine rapporto, la cui corresponsione grava in linea di principio sul datore, trova il suo principale riferimento normativo nell’art. 2120 del codice civile, dove viene previsto che in ogni caso di cessazione del rapporto di lavoro subordinato, il lavoratore ha diritto a tale trattamento, calcolato con le modalità indicate.

Il terzo comma dell’articolo precisa poi che

In caso di sospensione della prestazione di lavoro nel corso dell’anno per una delle cause di cui all’articolo 2110, nonché in caso di sospensione totale o parziale per la quale sia prevista l’integrazione salariale, deve essere computato nella retribuzione di cui al primo comma l’equivalente della retribuzione a cui il lavoratore avrebbe avuto diritto in caso di normale svolgimento del rapporto di lavoro.

Sulla base di ciò, i giudici della Suprema Corte ricordano quindi che la collocazione del lavoratore in Cassa integrazione non sarebbe certo in grado di incidere sul computo del trattamento di fine rapporto. E ciò perché con la Cassa integrazione il rapporto di lavoro prosegue, sebbene le obbligazioni delle parti entrino in uno stato di quiescenza.

In definitiva, ricorda la Corte, “il prestatore di lavoro assoggettato a cassa integrazione una volta sopravvenuta la cessazione del rapporto di lavoro subordinato, percepirà il medesimo trattamento di fine rapporto che avrebbe percepito se la cassa integrazione non vi fosse stata”.

Sempre nelle sue motivazioni la Suprema Corte ricorda poi come l’obbligo di corresponsione del TFR gravi in linea di massima sul datore di lavoro. Tuttavia, precisa anche come tale obbligo riceve una speciale disciplina nel caso in cui alla fine della Cassa integrazione il rapporto di lavoro venga a cessare.

La disciplina di cui si fa cenno è introdotta dall’art. 2 della legge 8 agosto 1972 n. 464, recante “Modifiche ed integrazioni alla I. 5 novembre 1968, n. 1115, in materia di integrazione salariale e di trattamento speciale di disoccupazione”, che pur abrogato è applicabile alla vicenda in esame, collocata in epoca antecedente all’abrogazione, e in grado di stabilire che “i periodi, per i quali è corrisposto il trattamento di cui all’articolo precedente, sono considerati utili d’ufficio ai fini del conseguimento del diritto alla pensione e della determinazione della misura di questa. Per i lavoratori licenziati al termine del periodo di integrazione salariale, le aziende possono richiedere il rimborso alla Cassa integrazione guadagni dell’indennità di anzianità, corrisposta agli interessati, limitatamente alla quota maturata durante il periodo predetto”.

In altre parole, la norma spostava il carico del trattamento di fine rapporto (che come si è più volte detto grava in linea generale sul datore di lavoro) nel solo caso in cui il rapporto di lavoro venisse a cessare a conclusione della Cassa integrazione. Di contro, se il rapporto di lavoro dovesse riprendere il suo normale corso, non poteva che operare la menzionata regola generale che fa cadere l’obbligo sul datore di lavoro.

Insomma, considerato che il caso di specie afferiva una situazione verificatasi tra il 2000 e il 2002, risultava applicabile ancora la disciplina previgente, che prevedeva che per i lavoratori licenziati al termine del periodo di integrazione salariale, la quota TFR maturata in tale periodo potesse essere rimborsata dalla Cassa integrazione guadagni dell’indennità di anzianità. Se ne desume che l’Inps era tenuto a corrispondere la quota di TFR per il periodo di Cassa integrazione solamente se al termine di tale periodo il rapporto di lavoro fosse terminato.

Nella vicenda in pronuncia, il lavoratore era stato prima licenziato e poi collocato in Cassa integrazione: si denota in tale occasione come non fosse stata posta la questione se la corresponsione del TFR avesse continuato a gravare sul datore di lavoro nel caso in cui terminata la Cassa il rapporto di lavoro a vesse preso il suo corso.

La disciplina attuale sul pagamento del TFR

Giova a questo punto rammentare brevemente, in questa sede conclusiva, quale sia la disciplina attuale, valutato che – come abbiamo anticipato qualche riga fa – la legge 464/1972 è stata abrogata dal d.lgs. 148/2015.

Ebbene, anche in virtù della nuova normativa, il Ministero del Lavoro con circolare 24/2015 ha ritenuto opportuno affermare come l’abrogazione ha efficacia per i trattamenti che sono richiesti a partire dalla data di entrata in vigore dello stesso decreto, ovvero dal 24 settembre 2015.

Da tale data, pertanto, l’onere economico delle quote di TFR maturate dai lavoratori nel periodo di Cassa integrazione è sempre a carico del datore di lavoro, a prescindere da quali siano le sorti del rapporto.

Avv. Bellato – diritto civile e contrattuale

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