Presunzione legale di paternità – guida rapida
- Il quadro normativo: gli artt. 231 e 232 c.c.
- L’evoluzione giurisprudenziale e le riforme legislative
- I presupposti di operatività della presunzione
- L’azione di disconoscimento: strumento di contestazione della presunzione
- I casi di disconoscimento e l’onere probatorio
- Il rapporto tra disconoscimento e accertamento di paternità
- Gli sviluppi della giurisprudenza costituzionale
- L’estensione della presunzione: prospettive de iure condendo
- La presunzione di paternità nell’ordinamento europeo
- Profili problematici e questioni ancora irrisolte
- La nuova concezione di paternità giuridica
L’istituto della presunzione di paternità rappresenta uno dei pilastri fondamentali del diritto di famiglia italiano, costituendo un meccanismo giuridico che affonda le proprie radici nel diritto romano e che continua a rivestire un ruolo centrale nella disciplina della filiazione. La massima latina “pater vero is est, quem nuptiae demonstrant” racchiude l’essenza di questo principio, attraverso il quale il legislatore ha inteso garantire certezza giuridica ai rapporti familiari e tutelare prioritariamente l’interesse del minore.
La presunzione di paternità, come disciplinata dal codice civile italiano, non costituisce semplicemente una regola processuale o probatoria, ma rappresenta un vero e proprio strumento di attribuzione dello status filiationis, che opera automaticamente al verificarsi di determinate condizioni.
Una peculiarità che si distingue l’istituto dalle comuni presunzioni legali, configurandolo piuttosto come un meccanismo di attribuzione immediata della qualità di padre al marito della madre, fondato su considerazioni di ordine pubblico e di stabilità delle relazioni familiari.
Indice:
- 1 Il quadro normativo: gli artt. 231 e 232 c.c.
- 2 L’evoluzione giurisprudenziale e le riforme legislative
- 3 I presupposti di operatività della presunzione
- 4 L’azione di disconoscimento: strumento di contestazione della presunzione
- 5 I casi di disconoscimento e l’onere probatorio
- 6 Il rapporto tra disconoscimento e accertamento di paternità
- 7 Gli sviluppi della giurisprudenza costituzionale
- 8 L’estensione della presunzione: prospettive de iure condendo
- 9 La presunzione di paternità nell’ordinamento europeo
- 10 Profili problematici e questioni ancora irrisolte sulla paternità
- 11 La nuova concezione di paternità giuridica
Il quadro normativo: gli artt. 231 e 232 c.c.
La disciplina della presunzione di paternità trova la sua codificazione negli articoli 231 e 232 del codice civile, significativamente modificati dalla riforma della filiazione attuata con la legge n. 219/2012 e il decreto legislativo n. 154/2013. L’articolo 231 c.c., nella sua formulazione attuale, stabilisce che “il marito è padre del figlio concepito o nato durante il matrimonio”, introducendo una formulazione che supera la precedente distinzione tra figlio legittimo e figlio naturale.
La nuova formulazione presenta caratteristiche di particolare rilievo sotto il profilo sistematico. La norma non utilizza il termine “presume”, optando invece per una formulazione assertiva che dichiara una realtà giuridica. Tale scelta redazionale ha alimentato un significativo dibattito dottrinale circa la natura dell’istituto, con parte della dottrina che sostiene trattarsi di una vera e propria attribuzione legale di status piuttosto che di una presunzione in senso tecnico.
L’articolo 232 c.c. completa il quadro normativo stabilendo i parametri temporali entro i quali opera la presunzione. La norma prescrive che “si presume concepito durante il matrimonio il figlio nato quando non sono ancora trascorsi trecento giorni” dalla data dell’annullamento, dello scioglimento o della cessazione degli effetti civili del matrimonio. Tuttavia, la presunzione non opera decorsi trecento giorni dalla pronuncia di separazione giudiziale o dall’omologazione di separazione consensuale.
L’evoluzione giurisprudenziale e le riforme legislative
La riforma del 2012-2013 ha comportato modificazioni sostanziali nell’ambito di applicazione della presunzione di paternità. Prima dell’intervento riformatore, l’articolo 233 c.c. disciplinava separatamente la condizione del figlio nato prima che fossero trascorsi centottanta giorni dalla celebrazione del matrimonio, stabilendo che questi era “reputato legittimo” solo se il marito non ne disconosceva la paternità.
L’abrogazione dell’articolo 233 c.c. ha comportato l’estensione della presunzione di paternità anche al figlio concepito prima del matrimonio ma nato in costanza di esso. La modifica riflette evidentemente un orientamento del legislatore volto a eliminare discriminazioni basate sulle circostanze del concepimento, in linea con i principi costituzionali di uguaglianza e di tutela della dignità della persona.
La giurisprudenza di legittimità ha costantemente ribadito la natura e i presupposti di operatività della presunzione. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 27560/2021, ha chiarito che “colui che affermi di essere il padre biologico di un figlio nato in costanza di matrimonio non può agire per l’accertamento della propria paternità” se prima non viene rimosso lo status di figlio matrimoniale con una statuizione avente efficacia erga omnes.
I presupposti di operatività della presunzione
La presunzione di paternità opera al verificarsi di specifici presupposti oggettivi, la cui presenza determina l’automatica attribuzione dello status paterno al marito della madre. Il primo presupposto consiste nell’esistenza di un matrimonio valido o almeno putativo tra i presunti genitori al momento del concepimento o della nascita del figlio.
Il secondo presupposto attiene alla formazione di un regolare atto di nascita nel quale risultino entrambi i genitori come coniugati. Come stabilito dall’articolo 236 c.c., “la filiazione si prova con l’atto di nascita iscritto nei registri dello stato civile”, e in mancanza di questo titolo è sufficiente il possesso continuo dello stato di figlio.
È fondamentale evidenziare che la presunzione non opera automaticamente in tutti i casi di nascita da donna coniugata. La madre conserva infatti il diritto di non essere nominata nell’atto di nascita o di riconoscere il figlio come concepito fuori del matrimonio con persona diversa dal marito, conformemente a quanto disposto dall’articolo 250 c.c. In tali ipotesi, il marito che volesse far constatare la propria genitorialità dovrebbe necessariamente procedere al riconoscimento.
L’azione di disconoscimento: strumento di contestazione della presunzione
La presunzione di paternità, pur operando automaticamente, non costituisce una verità legale assoluta e incontrovertibile. Il legislatore ha infatti predisposto l’azione di disconoscimento della paternità, disciplinata dagli articoli 243-bis e seguenti del codice civile, quale strumento processuale idoneo a rimuovere lo status di figlio matrimoniale quando questo non corrisponda alla realtà biologica.
L’articolo 243-bis c.c. stabilisce che “l’azione di disconoscimento di paternità del figlio nato nel matrimonio può essere esercitata dal marito, dalla madre e dal figlio medesimo”. La previsione rappresenta il frutto di un’evoluzione legislativa che ha progressivamente ampliato la cerchia dei soggetti legittimati, superando le limitazioni previste dalla disciplina originaria.
La legittimazione attiva del figlio riveste particolare importanza sistematica, in quanto consente al diretto interessato di contestare uno status che potrebbe non corrispondere alla propria identità biologica. Il decreto legislativo n. 154/2013 ha reso imprescrittibile l’azione quando esercitata dal figlio, riconoscendo così la centralità del diritto all’identità personale nell’ordinamento giuridico contemporaneo.
I casi di disconoscimento e l’onere probatorio
L’articolo 235 c.c. individua tassativamente le ipotesi in cui è ammesso il disconoscimento di paternità. La norma prevede che il marito possa disconoscere il figlio quando provi una delle seguenti circostanze: che “i coniugi non hanno coabitato nel periodo compreso fra il trecentesimo e il centottantesimo giorno prima della nascita”; che durante tale periodo il marito era affetto da impotenza di generare; che nel medesimo periodo la moglie ha commesso adulterio o ha tenuto celata al marito la propria gravidanza e la nascita del figlio.
La giurisprudenza ha chiarito che la prova dell’adulterio non esclude di per sé la paternità del marito, rappresentando invece “solamente un fatto indiziario da solo non sufficiente” ad escludere la genitorialità. La Corte di Cassazione ha precisato che la prova della non paternità deve essere fornita ricorrendo ad altri mezzi, in particolare alle prove tecniche come l’esame del DNA.
Particolarmente significativa è la disciplina dei termini di decadenza per l’esercizio dell’azione. L’articolo 244 c.c. prevede che il marito possa disconoscere il figlio “nel termine di un anno decorrente dal giorno della nascita”, se presente, o dal momento del ritorno o dalla conoscenza della nascita, se assente. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 25623/2008, ha stabilito che in caso di adulterio il termine decorre dal giorno della scoperta di esso, purché questa avvenga successivamente alla nascita del figlio.
Il rapporto tra disconoscimento e accertamento di paternità
Una questione di particolare complessità attiene al rapporto tra l’azione di disconoscimento della paternità del marito e l’eventuale azione di accertamento della paternità di altro soggetto. Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la fondamentale sentenza n. 8268/2023, hanno risolto un contrasto interpretativo stabilendo che “il giudizio di disconoscimento di paternità è pregiudiziale rispetto a quello in cui viene richiesto l’accertamento di altra paternità”.
Il principio comporta che, in caso di contemporanea pendenza dei due giudizi, si applica l’istituto della sospensione per pregiudizialità ex articolo 295 c.p.c. La ratio di tale orientamento risiede nella necessità di evitare contrasti di giudicato e di garantire la certezza dello status filiationis, impedendo che possano coesistere determinazioni giurisdizionali contrastanti circa l’identità del padre.
La stessa pronuncia ha ribadito che il presunto padre biologico non è legittimato a intervenire nel giudizio di disconoscimento, non potendo la controversia sul riconoscimento avere ingresso sino a quando la presunzione legale di paternità non sia venuta meno. Tuttavia, la Corte ha precisato che il presunto padre può chiedere, ai sensi dell’articolo 244, comma 6, c.c., la nomina di un curatore speciale che eserciti l’azione di disconoscimento nell’interesse del presunto figlio infraquattordicenne.
Gli sviluppi della giurisprudenza costituzionale
La Corte Costituzionale ha fornito contributi determinanti all’evoluzione dell’istituto della presunzione di paternità, intervenendo più volte per adeguare la disciplina codicistica ai principi costituzionali. Con la sentenza n. 494/2002, la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 235, comma 1, n. 2, c.c. nella parte in cui non consentiva al marito di fornire la prova della propria impotenza di generare anche attraverso l’esame del DNA.
Successivamente, con la sentenza n. 266/2006, la Corte Costituzionale ha esteso la possibilità di ricorrere alle prove genetiche anche per dimostrare l’adulterio della moglie, quando tale circostanza risulti rilevante ai fini del disconoscimento. Gli interventi hanno segnato una progressiva apertura dell’ordinamento verso l’accertamento della verità biologica, bilanciando le esigenze di stabilità dello status con il diritto all’identità personale.
La sentenza della Corte Costituzionale n. 177/2022 ha ulteriormente evidenziato la necessità di un intervento organico del legislatore per risolvere le problematiche derivanti dal rapporto tra diverse azioni di stato. La Consulta ha infatti rilevato che “potrebbe verificarsi l’ipotesi in cui il previo giudizio di disconoscimento non sia stato neppure avviato” al momento della proposizione dell’azione per la dichiarazione giudiziale di paternità, auspicando una riforma sistematica della materia.
L’estensione della presunzione: prospettive de iure condendo
Un aspetto di particolare interesse teorico e pratico attiene alla possibile estensione della presunzione di paternità alle unioni di fatto. Attualmente, la presunzione opera esclusivamente nell’ambito del matrimonio, mentre per le convivenze more uxorio rileva solo la presunzione semplice prevista dall’articolo 269 c.c. agli effetti della dichiarazione giudiziale di paternità.
La dottrina ha evidenziato che “la presunzione di paternità ha base convenzionale”, sicché il legislatore, come l’ha discrezionalmente estesa alla filiazione ante nuptias concepta, potrebbe estenderla anche alla filiazione sine nuptiis concepta, ove l’unione dei genitori manifestasse una forza indicativa analoga a quella del matrimonio. Tale estensione potrebbe riguardare, ad esempio, le convivenze registrate o comunque dotate dei requisiti di ufficialità necessari alla formazione stragiudiziale del titolo di stato.
L’evoluzione verso una maggiore tutela delle unioni di fatto, anche attraverso l’introduzione delle unioni civili con la legge n. 76/2016, potrebbe aprire nuovi scenari per l’applicazione analogica della presunzione di paternità a situazioni giuridicamente equiparabili al matrimonio. Tuttavia, tale evoluzione richiederebbe un intervento legislativo specifico, considerata la natura eccezionale delle presunzioni legali nel sistema del diritto civile.
La presunzione di paternità nell’ordinamento europeo
L’istituto della presunzione di paternità trova riscontro negli ordinamenti europei, pur con significative differenze quanto alle modalità di attuazione e ai meccanismi di contestazione. La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha affrontato la questione in diverse pronunce, evidenziando la necessità di bilanciare la stabilità delle relazioni familiari con il diritto all’accertamento della verità biologica.
La sentenza Shofman c. Russia del 2005 ha stabilito che l’impossibilità assoluta di contestare la presunzione di paternità può violare l’articolo 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, laddove non consenta un adeguato bilanciamento tra gli interessi in gioco. Analogamente, nella decisione Mizzi c. Malta del 2006, la Corte ha rilevato che “il diritto di conoscere le proprie origini biologiche” costituisce un aspetto essenziale del diritto al rispetto della vita privata e familiare.
Gli orientamenti hanno influenzato l’evoluzione della giurisprudenza nazionale, orientandola verso una maggiore apertura alle prove scientifiche e una riduzione delle limitazioni all’accertamento della verità biologica. Il bilanciamento tra certezza giuridica e verità biologica rappresenta così uno dei nodi centrali dell’evoluzione contemporanea del diritto di famiglia europeo.
Profili problematici e questioni ancora irrisolte sulla paternità
Nonostante le significative riforme degli ultimi decenni, permangono alcune problematiche applicative che richiedono attenzione da parte degli operatori del diritto. Una questione particolarmente delicata attiene ai casi in cui la presunzione di paternità si sovrappone a tecniche di procreazione medicalmente assistita, specialmente quando queste vengano praticate con donazione di gameti esterni alla coppia.
In tali ipotesi, la presunzione di paternità opera regolarmente, ma la sua contestazione attraverso l’azione di disconoscimento potrebbe condurre a risultati paradossali. La legge n. 40/2004 sulla procreazione medicalmente assistita ha introdotto il divieto di disconoscimento della paternità quando “il figlio sia nato a seguito dell’applicazione di tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo” consentite dalla legge. Tuttavia, permangono zone grigie in caso di tecniche praticate all’estero o in violazione della normativa nazionale.
Un’altra questione complessa riguarda l’interazione tra la presunzione di paternità e l’evoluzione delle tecnologie genetiche. L’accessibilità sempre maggiore dei test del DNA ha reso possibile l’accertamento della paternità con gradi di certezza prossimi al 100%, ponendo interrogativi circa l’equilibrio tra certezza giuridica e verità scientifica. La giurisprudenza ha mostrato un’apertura crescente verso l’utilizzo delle prove genetiche, ma permane la necessità di inquadrare tali strumenti in un framework giuridico coerente.
La nuova concezione di paternità giuridica
L’istituto della presunzione di paternità attraversa una fase di significativa trasformazione, caratterizzata dalla tensione tra esigenze tradizionali di certezza giuridica e nuove istanze di tutela dell’identità personale. L’evoluzione normativa e giurisprudenziale degli ultimi anni testimonia un progressivo sbilanciamento a favore dell’accertamento della verità biologica, pur nel rispetto delle esigenze di stabilità delle relazioni familiari.
Le recenti pronunce delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno contribuito a chiarire aspetti procedurali cruciali, ma permangono significative questioni sistemiche che richiederebbero un intervento organico del legislatore. La necessità di coordinare l’azione di disconoscimento con quella di accertamento della paternità, l’estensione della presunzione alle unioni di fatto, l’interazione con le tecniche di procreazione assistita rappresentano altrettante sfide per il diritto di famiglia contemporaneo.
In questa prospettiva, la presunzione di paternità si configura non come un relitto del passato, ma come un istituto in continua evoluzione, chiamato a conciliare tradizione giuridica e innovazione sociale. La sua capacità di adattamento alle trasformazioni della famiglia e della società costituirà uno dei banchi di prova più significativi per la tenuta del sistema civilistico italiano nel prossimo futuro. Solo attraverso un approccio equilibrato, che sappia valorizzare tanto le esigenze di certezza quanto quelle di verità, sarà possibile preservare la funzione garantista dell’istituto nel rispetto dei diritti fondamentali della persona.