Se il proprio cane morde una persona, a rispondere è il padrone che, oltre a divenire responsabile civilmente, può altresì essere interessato sotto il profilo penale, con conseguente ricaduta nel reato di lesioni colpose. A rammentarlo è la recente sentenza n. 30548/2016 da parte della Corte di Cassazione, con la quale i giudici si esprimono sulla vicenda di un cane che, affidato a un soggetto evidentemente non in grado di controllarlo (il padre del propreitario), aveva morso un bambino. Per gli Ermellini, la responsabilità ricade sempre e comunque sul proprietario dell’animale.
La figura di garanzia del proprietario dell’animale
Nelle sue considerazioni, la Corte ricorda come costante sia l’insegnamento giurisprudenziale in Cassazione relativamente al tema di lesioni colpose, e concernente la posizione di “garanzia” che deve essere assunta dal detentore di un cane, che ha l’obbligo di controllare e di custodire l’animale “adottando ogni cautela per evitare e prevenire le possibili aggressioni a terzi anche all’interno dell’abitazione”, laddove la pericolosità dell’animale non può essere limitata esclusivamente ad animali feroci ma può sussistere anche in relazione ad animali domestici o di compagnia quali il cane, animale che di norma è mansueto.
La custodia dell’animale
Nella fattispecie in esame, il giudice di pace di Trento aveva ritenuto che la posizione di garanzia del proprietario dell’animale in capo al ricorrente fosse “dubbia”, evidenziando che tale valutazione si basa sul fatto di aver ritenuto che al momento del fatto l’animale era in realtà custodito dal di lui padre, che gestiva la malga o rifugio alpino ove veniva svolta anche un’attività ricettiva, frequentata da molti ospiti, “evidenziando che durante l’estate era B.B. a portare al pascolo l’animale e a tenerlo legato ad una catena all’interno dello spazio interno recintato allo stesso riservato, fatto che non aveva impedito che l’animale si portasse fino ai margini della staccionata attingendo al volto un giovane ospite”.
Nelle sue motivazioni, il primo giudice richiamava elementi testimoniali da cui poteva dedurre sia la circostanza che il cane era stato affidato dal proprietario al proprio genitore, tanto del fatto che era B.B., padre dell’imputato a tenere il cane presso la malga. Il giudice di pace aveva dunque rilevato che l’animale era custodito da persona diversa dell’imputato, “il quale aveva perso qualsiasi potere di vigilanza e di controllo diretto sullo stesso, così da potersi affermare che in ossequio ai principi di auto responsabilità era il genitore dell’imputato a gestire l’animale e ad assumere ogni obbligo, anche precauzionale teso a impedire che l’animale potesse nuocere a terzi”.
Le conclusioni
In realtà, i giudici di piazza Cavour hanno evidenziato che il fatto che l’animale fosse effettivamente custodito da una persona diversa dal proprietario, non faceva perdere allo stesso proprietario il potere di vigilanza e di controllo sul cane, visto e considerato che è da intendersi la sussistenza di una residua responsabilità del proprietario, nel caso in cui questi sia in grado di esercitare il controllo, ovvero nel caso in cui l’animale sia affidato a persona non in grado di esercitare una effettiva custodia.