La responsabilità medica in caso di morte comunque imminente – indice:
- L’ncidenza causale
- Esclusione di responsabilità
- Omissioni e degligenze
- Il mancato uso del defibrillatore
- Deterioramento delle condizioni
In tema di presunta malasanità e di responsabilità medica, la Corte di Cassazione irrompe con l’interessante sentenza n. 43794/2018, affermando che sebbene sia stato accertata la violazione delle linee guida e delle buone prassi da parte del medico, costui non può essere giudicato responsabile e in grado di rispondere della morte del paziente se questa si sarebbe comunque verificata in ogni caso e oltre ogni ragionevole dubbio.
Mancanza di incidenza causale
La vicenda di cui si sono occupati i giudici della Suprema Corte fanno riferimento al caso di un paziente giunto presso la guardia medica ove operava il sanitario imputato in giudizio, con lamentele di dolori al torace a un quadro sintomatico simile a quello di un possibile prossimo infarto.
Tuttavia, il medico – dinanzi al quadro clinico che gli si presentava – non ha ritenuto opportuno procedere con l’effettuazione di un elettrocardiogramma, e non ha stabilito alcun contatto telefonico con il servizio di UTC. Il paziente, a breve distanza, era deceduto.
La vicenda si apre dunque in sede processuale, ma nel corso del giudizio si era accertato che le omissioni e le negligenze contestate al medico non si erano verificate o, comunque, non avevano prodotto alcuna incidenza causale sulla morte del paziente.
Di fatti, nel corso del giudizio era stato ricostruito che tra l’arrivo dell’uomo presso il pronto soccorso e la morte del paziente non era stato possibile effettuare una valutazione diagnostica utile, ma l’unico risultato dell’agire diversamente sarebbe stato quello di perdere inutilmente tempo.
Esclusione di responsabilità medica
Ricostruendo la vicenda, gli Ermellini evidenziano innanzitutto come la Corte territoriale abbia ben valorizzato il percorso scientifico dei periti nominati dal tribunale, e sulla base di questo aveva correttamente proceduto ad escludere la responsabilità del medico, ritenendo che la sua condotta, benché non conforme alla buona pratica, non aveva avuto un ruolo causale nel determinare l’evento morte del paziente, affetto da grave ipertrofia eccentrica cardiaca, e che si sarebbe verificato comunque ogni oltre ragionevole dubbio.
I giudici sottolineano poi come in tale sede non sia messa in discussione la condotta negligente del sanitario, ma solamente la sua incidenza sull’esito infausto, oltre ogni ragionevole dubbio, cosa peraltro già esclusa dai giudici di merito con argomentazioni ritenute valide.
Omissioni e negligenze nella condotta e responsabilità medica
Dunque, non viene puntualizzata la cattiva condotta del medico, che non avrebbe seguito le linee guida della comunità scientifica internazionale per il trattamento di un paziente con chiara sintomatologia da sindrome cardiocircolatoria (monitorare il paziente per avere una traccia ECG grafica, incanalare una vena periferica per somministrare farmaci, e così via), con la conseguenza che i suoi comportamenti negligenti o omissivi vengono definiti o come non verificatisi, oppure privi di incidenza causale concreta sulla morte del paziente.
Si chiarisce così che, con congrua valutazione in fatto, e dunque non sindacabile in Cassazione, in relazione al breve lasso di tempo intercorso fra il momento dell’arrivo presso la guardia medica e l’evento infausto, non sarebbe stato possibile effettuare una valutazione diagnostica con il reparto di cardiologia, implicando ciò una perdita di tempo che non sarebbe stata utile al paziente.
Responsabilità per mancato uso del defibrillatore
Le motivazioni della sentenza scendono poi nel dettaglio affrontando le principali ipotesi di un differente comportamento del sanitario.
Per esempio, in relazione al mancato uso del defibrillatore da parte del medico, la Cassazione rammenta come la Corte territoriale abbia evidenzia che gli eventi ischemici miocardici si distinguono in defibrillabili e non defibrillabili, con la conseguenza che la contestazione relativa alla mancata o alla non corretta effettuazione della stessa non assume carattere decisivo nel senso di incrinare le conclusioni dei giudici di merito, ben potendo l’esito infausto essersi verificato a prescindere, in quanto le condizioni gravi del paziente, “anche ove si fosse trattato di un evento aritmico defibrillabile non avrebbero consentito una risposta ed un ripristino di una attività elettrica efficace”.
Deterioramento delle condizioni cardiache del paziente
Sempre in merito alle analisi più specifiche, concludiamo con l’evidenza secondo cui i giudici della Suprema Corte avrebbero sottolineato la non rilevanza della circostanza secondo cui i giudici di merito non avrebbero tenuto in debita considerazione il fatto che il cuore del paziente fosse da collocare in Classe I della New York Heart Association, ben potendo – affermano ancora gli Ermellini – essersi verificato un deterioramento delle condizioni cardiache del deceduto immediatamente successivo all’accertamento.
La contestazione secondo cui le condizioni di scompenso cardiaco cronico risulterebbero smentite dall’esame autoptico rappresenterebbe asserzione generica e priva di adeguato supporto, oltre che smentita recentemente dalle conclusioni dei periti del tribunale, implicante una diversa lettura, inammissibile in sede di Cassazione, ei dati probatori valutati dai giudici di merito con una motivazione logica, congrua e priva di aporie, avendo pure gli stessi chiarito che l’vento acuto accaduto al paziente è insorto in un soggetto che si trovava in un complicato e precario equilibrio emodinamico, e questo a prescindere dal fatto che mesi prima dell’evento lo stesso presentasse un buon compenso emodinamico.