Il paziente in stato vegetativo e le cure – indice:
- Mancata diagnosi per esami ecografici
- Responsabilità medica da nascita indesiderata
- Persona in stato vegetativo è persona in senso pieno
- Dignità del malato
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 24189/2018, è intervenuta nel delicato e complesso tema delle cure al paziente che verte in uno stato vegetativo, affermando che costui è persona “in senso pieno”, e che dunque merita il completo supporto da parte del personale sanitario.
Trova così conclusione una dolorosa vicenda che ha visto due genitori intentare una causa per il risarcimento del danno subito per la mancata diagnosi in sede di esami ecografici del quadro di malformazioni del figlio che la donna portava in grembo, e che poi è nato con possibilità di vita esclusivamente vegetativa.
Mancata diagnosi per esami ecografici
La vicenda trae origine dalla causa intentata da due genitori dinanzi al Tribunale di Monza, contro l’Azienda ospedaliera e i medici, domandando il risarcimento del danno per la mancata diagnosi in sede di esami ecografici del grave quadro malformativo del feto, che è poi nato con possibilità di vita solo vegetativa.
Il Tribunale di Monza, previa CTU, ha accolto la domanda condannando i convenuti al pagamento di 300 mila euro a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale, e di 1,14 milioni di euro per danni patrimoniali. La vicenda giunge poi alla Corte d’Appello di Milano, previa CTU, che ha accolto parzialmente l’appello incidentale condannando l’Azienda ospedaliera e i medici a 1,62 milioni di euro di danni patrimoniali, in luogo di 1,14 milioni di euro. Di qui, il ricorso dell’Azienda in Cassazione.
Responsabilità medica da nascita indesiderata
La trattazione dei giudici della Suprema Corte è lunga e complessa. Limitiamoci dunque ai principi fondamentali che sono emersi dalla pronuncia, a cominciare dal riferimento che la Corte ha effettuato sul proprio orientamento in tema di responsabilità medica da nascita indesiderata, per il quale il nato disabile non può agire per il risarcimento del danno, neppure sotto il profilo dell’interesse ad avere un ambiente familiare preparato ad accoglierlo, considerato che l’ordinamento italiano non riconosce un “diritto a non nascere se non sano”, né la vita del bambino può integrare un danno – conseguenza dell’illecito omissivo del medico.
Un principio di diritto, quello di cui sopra, che per gli Ermellini trova una piena applicazione anche nel caso di uno stato vegetativo permanente.
Persona in stato vegetativo è persona in senso pieno
A questo punto, i giudici della Suprema Corte richiamano la sentenza Cass. 16 ottobre 2017, n. 21748, che riconosce il potere del giudice di autorizzare il tutore di persona interdetta giacente in persistente stato vegetativo ad interrompere i trattamenti che la rendono artificialmente in vita a condizioni indicate, affermando che chi versa in uno stato vegetativo permanente deve essere considerato a tutti gli effetti una persona in senso pieno, che deve essere rispettata e tutelata nei suoi diritti fondamentali, a partire dal diritto alla vita e dal diritto alle prestazioni sanitarie.
Un principio che, proseguono gli Ermellini, vale a maggior ragione poiché in condizioni di estrema debolezza, e non in grado di provvedere in modo autonomo al proprio benessere.
Dignità del malato
La tragicità di questo stato patologico – prosegue poi la sentenza – non solo deve essere considerata come parte integrante e costitutiva della biografia del malato, e non deve toglier nulla alla sua dignità di essere umano, bensì non giustifica in nessun modo un eventuale affievolimento delle cure e del sostegno solidale che il servizio sanitario deve continuare ad offrire, e che il malato ha diritto di pretendere fino al momento del sopraggiungimento della morte.
Pertanto, si legge ancora nelle motivazioni, la comunità deve mettere a disposizione di coloro che ne hanno bisogno e che lo richiedono, tutte le cure e i presidi che la scienza medica è in grado di apprestare per poter affrontare “la lotta a restare in vita”, a prescindere da quanto sia precaria l’esistenza e da quanto sia forte o meno la speranza di recuperare le funzioni cognitive.
Una valutazione che ha alla base sia l’idea di una universale uguaglianza tra gli esseri umani, quanto anche una altrettanto universale presenza di un dovere di solidarietà nei confronti di coloro che sono, in buona evidenza, da intendersi come soggetti più fragili.
La considerazione per la quale anche chi versa in stato vegetativo è da intendersi come persona in senso pieno porta poi a concludere che anche rispetto a questa condizione la “non vita” non possa essere qualificata bene della vita, escludendo così in radice la configurabilità di un danno ingiusto.