Complicanze e responsabilità medica – indice:
Nell’ambito di un giudizio per un caso di malasanità, la Corte di Cassazione interviene ancora sul delicato punto della responsabilità professionale dei medici. Già da qualche tempo, come in questo caso, tale responsabilità è stata annoverata dalla giurisprudenza fra i casi di “responsabilità contrattuale”, per cosiddetto contatto sociale.
Risarcimento del danno da responsabilità medica non escluso per complicanze: le novità
Con sentenza numero 13328/2015 del 30 giugno, la Suprema Corte ribadisce preliminarmente l’assoggettabilità della responsabilità medica e professionale per malasanità alla disciplina dell’articolo 1218 del codice civile. La norma detta la disciplina della responsabilità contrattuale. Non già dunque responsabilità extracontrattuale con tutto ciò che ne consegue in fatto di oneri probatori e termini prescrizionali per l’attivazione della tutela da parte del paziente.
Trattandosi di responsabilità contrattuale, in giudizio sarà dunque il medico che avrà l’onere di provare di aver adempiuto alla prestazione professionale alla quale è obbligato in forza del contatto sociale con il proprio paziente.
Quando la non imputabilità al medico
Chiarito questo fondamentale aspetto, la Corte di legittimità analizza una questione di diritto ulteriore. Sarebbe a dire, gli oneri probatori in fatto di “non imputabilità” al medico dell’inadempimento della propria prestazione professionale.
Nel caso posto al vaglio della Corte di Cassazione, i giudici avevano appurato l’insorgere di cosiddette “complicanze“. Sarebbe a dire circostanze in base alle quali la situazione si aggrava più di quanto non sia nella norma. Tali circostanze hanno senza dubbio una rilevanza statistica in ambito sanitario. Ad avviso della Corte, tuttavia, tali rilevanze non sono sufficienti ad escludere che l’inadempimento del medico derivi da causa a lui non imputabile e non prevedibile. La Corte afferma che non basta tale prova soltanto ad assolvere a quanto disposto dall’articolo 1218 del codice civile in tema di prove liberatorie.
Questa sentenza rappresenta senza dubbio un ulteriore giro di vite sulle prove a carico del professionista. In caso di responsabilità per malasanità, non basterà solo dimostrare l’insorgere di complicanze nel corso della degenza del paziente. Il professionista dovrà dimostrare che il proprio inadempimento sia stato determinato da un’ulteriore causa a lui non imputabile.
Impossibilità ed imprevedibilità dell’evento contestato
Basandosi anche sulla statistica, dunque, la difesa dei medici convenuti dovrà provare di non aver potuto adempiere a causa di un evento imprevedibile e insuperabile. Negli stessi termini già si era pronunciata la stessa Corte nella sentenza 17143/2012, del 9 ottobre del 2012, con la quale si chiariva come “In tema di ripartizione dell’onere probatorio, una volta provati dal paziente la sussistenza ed il contenuto del contratto, se la prestazione dell’attività non consegue il risultato normalmente ottenibile …, incombe al medico dare la prova del verificarsi di un evento imprevedibile e non superabile con l’adeguata diligenza che lo stesso ha impedito di ottenere”.
Fa luce sull’interpretazione di tali massime quanto sancito e ricavato dall’articolo 1176 del codice civile. La norma chiarisce che l’adempimento di una prestazione professionale deve essere valutato con riguardo alla natura dell’attività esercitata. Per sussumere il caso specifico a queste previsioni normative sarà dunque necessario valutarne la difficoltà in relazione non all’abilità del medico specifico, ma allo stato della scienza e su una base statistica. Alla verifica di tali fatti seguirà la verifica della probabilità statistica dell’insorgere delle cosiddette complicanze e della possibilità di porre rimedio alle stesse secondo criteri basati sull’ordinaria diligenza che si deve richiedere al medico curante.