Ordini di investimento e assenza del contratto quadro – una guida rapida
- Il ricorso dell’investitore
- La posizione della banca
- La nullità del contratto per forma scritta
- Assenza del contratto e nullità degli ordini
La mancata produzione da parte dell’istituto di credito del contratto quadro da cui sono derivati gli ordini di investimento in azioni, determina la nullità dei singoli ordini di acquisto. Per i giudici del tribunale, infatti, non si potrebbe ravvisare una ratifica tacita, affetta dal medesimo vizio di forma.
All’investitore spetta dunque il risarcimento del danno, quantificato come differenza dei titoli investiti pari al danno emergente patito, ferma la detrazione dal riconoscimento della somma dovuta dalle cedole riscosse nel tempo.
Il ricorso dell’investitore
Il caso trae origine dal ricorso di un investitore, che domanda al tribunale di accertare e dichiarare la nullità del contratto quadro di intermediazione finanziaria per difetto del requisito di forma scritta ad substantiam ai sensi dell’art. 23 del TUF. L’investitore domanda anche di condannare l’istituto di credito alla restituzione di una somma di denaro (80.518 euro). In aggiunta, domanda interessi e rivalutazione monetaria dal giorno dei singoli ordini di investimento, attesa la nullità conseguente dei singoli ordini.
Ancora, l’investitore denuncia:
- l’omessa informativa da parte della banca quanto alla negoziazione dei titoli illiquidi
- l’acquisizione del consenso per l’investitore per il compimento di operazioni fuori dal mercato regolamentato
- la violazione dell’art. 42 della direttiva MIFID avendo l’istituto di credito dato luogo a operazioni non compatibili con il profilo di investitore a basso rischio.
L’attore domanda dunque l’inadempimento grave da parte della convenuta agli obblighi derivanti dal contratto di intermediazione mobiliare e di deposito titoli a custodia e amministrazione, accertando e dichiarando la risoluzione per inadempimento della convenuta e condannare così la convenuta a risarcire tutti i danni subiti dall’illegittimo acquisto dei prodotti finanziari a titolo di danno emergente (il capitale investito) oltre al lucro cessante da determinarsi nella misura pari al rendimento dei titoli di Stato, e rivalutazione e interessi legali.
La posizione della banca
Dal canto suo, l’istituto di credito eccepisce l’infondatezza delle domande del ricorrente, affermando il rispetto degli obblighi informativi imposti all’intermediario.
La banca evidenzia l’avvenuta compilazione dei questionari di profilatura da parte del ricorrente. Da tali documenti, risulta la propensione al rischio medio-alto e la predisposizione dell’investitore all’accettazione del rischio di perdita anche di una parte consistente del capitale. Si evidenzia anche la messa a disposizione al cliente di un prospetto informativo che reca informazioni specifiche su:
- natura
- caratteristiche
- rischi connessi all’investimento negli strumenti finanziari che sono oggetto dell’offerta
- avvertimento che le azioni della banca sarebbero state negoziate al di fuori del mercato regolamentato.
La banca eccepisce anche l’inapplicabilità del regolamento Consob del 2010, considerato che gli artt. 18 bis e 18 ter TUF riguardano solo i consulenti finanziari persone fisiche, oltre che le società di consulenza in materia di investimenti costituite in forma di società per azioni o società a responsabilità limitata in possesso dei requisiti patrimoniali e di indipendenza stabiliti con regolamento adottato dal Ministro dell’economia e delle finanze, sentite la Banca d’Italia e la Consob”, diverse dunque dalle “imprese di investimento e dalle banche” cui è riservato ex lege l’esercizio professionale nei confronti del pubblico dei servizi e delle attività di investimento.
La banca ha poi eccepito l’esecuzione degli ordini di vendita impartiti dal cliente. E, inoltre, l’insussistenza del nesso di causalità tra la violazione delle norme regolamentari e il danno lamentato. Ha concluso dunque per il rigetto di tutte le domande proposte.
Nullità del contratto per mancanza della forma scritta
Premesso quanto sopra, occupiamo di comprendere come si giunga alle motivazioni della sentenza sugli ordini di investimento.
Per quanto attiene la domanda di nullità del contratto di intermediazione per difetto della forma scritta ad substantiam, i giudici ritengono che l’istanza deve essere accolta per quanto di ragione.
Si richiama dunque alla mente il dettato dell’art. 23 del TUF, che dispone che i contratti relativi alla prestazione dei servizi di investimento e, se previsto, i contratti relativi alla prestazione dei servizi accessori, sono redatti per iscritto, in conformità a quanto previsto dagli atti delegati della direttiva 2014/65/UE, e un esemplare è consegnato ai clienti.
L’articolo di legge ricorda poi come la Consob, sentita la Banca d’Italia, può prevedere con regolamento che, per motivate ragioni o in relazione alla natura professionale dei contraenti, particolari tipi di contratto possano o debbano essere stipulati in altra forma, assicurando nei confronti dei clienti al dettaglio appropriato livello di garanzia. Nei casi di inosservanza della forma prescritta, il contratto è nullo.
Dunque, sulla base di ciò, l’investitore ha dedotto l’assenza del contratto quadro di intermediazione come preliminare agli ordini di acquisto, e la relativa nullità. Dal canto suo la banca ha eccepito la prescrizione dell’azione di nullità esercitata. Afferma di fatti che si tratta di nullità di protezione sollevata dall’investitore nel solo proprio interesse, gravitando nel novero del regime delle annullabilità. Pertanto, sarebbe soggetta a termine di prescrizione di cinque anni. Considerato che gli ordini risalgono tra il 2008 e il 2013, mentre il ricorso è stato depositato nel 2018, per la banca le azioni di nullità come quella del risarcimento sarebbero prescritte.
Per i giudici l’eccezione di prescrizione non può essere accolta
Il tribunale rammenta come il requisito della forma scritta del contratto di intermediazione finanziaria è a pena di nullità dello stesso, come riconosciuto più volte dalla Corte di Cassazione. In particolare, con sentenza n. 898/2018, la Suprema Corte ha espresso il seguente principio di diritto:
Il requisito della forma scritta del contratto quadro relativo ai servizi di investimento, disposto dall’art. 23 del d.lgs. n. 57 del 1998, è rispettato ove sia redatto il contratto per iscritto e ne venga consegnata una copia al cliente, ed è sufficiente la sola sottoscrizione dell’investitore, non necessitando quella dell’intermediario, il cui consenso ben si può desumere alla stregua dei comportamenti concludenti da lui tenuti.
I giudici ricordano come il requisito formale imposto dall’art. 23 TUF abbia la funzione di soddisfare l’interesse del cliente alla conoscenza dei servizi cui si obbliga l’intermediario. E alla costante verifica nella durata del rapporto del rispetto delle modalità esecutive del contratto quadro.
In sostanza, precisa ancora la pronuncia del tribunale, si tratta di un legame che è finalizzato a coprire il gap di conoscenza dei prodotti finanziari tra l’intermediario e il cliente nell’ambito del neoformalismo. Il cui rispetto, si intende, è posto integralmente a carico della parte forte del rapporto. L’obiettivo è compensare il suo potere di determinare in modo unilaterale le condizioni dell’affare. L’inosservanza legittima solamente il consumatore ad agire per far dichiarare la nullità, rendendolo così arbitro della sorte del contratto. Così la sentenza n. 22693 del 15/11/2019 da parte delle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione, secondo cui la nullità per difetto di forma scritta, contenuta nell’art. 23, comma 3, del d.lgs. n. 58 del 1998, può essere fatta valere esclusivamente dall’investitore con la conseguenza che gli effetti processuali e sostanziali dell’accertamento operano soltanto a suo vantaggio.
Annullabilità o nullità degli ordini di investimento?
Premesso quanto sopra, il tribunale ritiene che a tale nullità di protezione non possa applicarsi al disciplina propria dell’annullabilità e quindi l’esercizio dell’azione nel termine di prescrizione pari a cinque anni, bensì il regime proprio della nullità e perciò l’imprescrittibilità della relativa azione.
Per i giudici, è vero che la nullità del contratto quadro che difetta della forma scritta è sanzione posta a tutela dell’investitore che decise se avvalersi o meno della stessa. Tuttavia, è anche vero che la disciplina dettata dal TUF, dalla direttiva MIFID e dai Regolamenti emessi dalla Consob in tema di obblighi informativi rispondono alla più ampia funzione di tutela del mercato del risparmio, essendo la fiducia dell’investitore nel sistema necessaria allo stesso suo funzionamento.
Gli obblighi informativi posti dalla direttiva MIFID e dalla Consob a carico degli intermediari, identificati come contraenti forti, rispondono alla necessità di far sì che la consulenza della banca orienti il cliente nella scelta dell’investimento secondo i principi propri del consenso informato.
Ciò chiarito, su questo filone di valutazione, la Corte di Cassazione ha diverse volte ribadito che è dovere di comportamento dell’intermediario avvisare il cliente dell’eventuale inadeguatezza dell’operazione, come imposto dall’art. 29 reg. Consob 11522/1998 con argomentazioni circostanziate, considerato che non può essere reputata sufficiente una generica frase standard “prestampata”.
L’opinione della Corte Costituzionale
Dunque, si prosegue nelle motivazioni, l’avvertimento in questione dovrà essere comunicato mediante una condotta intesa a rappresentare in maniera puntuale e compiuta le caratteristiche dell’operazione, con peculiare riguardo ai rischi che la stessa viene propriamente a proporre. Le specifiche ragioni che rendono nel concreto inadeguata una data operazione devono tuttavia venire trasmesse all’investitore. I contenuti e i termini devono essere tali da risultare destinati a porsi come reali cofattori della decisione di questi, di non investimento o di investimento.
In questo scenario, con sent. n. 52 del 2010 la Corte Costituzionale ha affermato che nella disciplina dettata per i contratti aventi ad oggetto gli strumenti finanziari derivati, il legislatore ha inteso tutelare il mercato stesso, la sua stabilità, nonché i risparmiatori che vi operano individuando nelle norme relative al contratto una finalità di protezione della sfera giuridica dei soggetti che accedono a tale tipologia di finanziamento, i quali sono considerati alla stregua di contraenti deboli, che si trovano rispetto al professionista che opera nel mercato in una posizione di asimmetria informativa e chiarendo, proprio in riferimento alle norme che introducono la nullità relativa, che esse mirano a tutelare la parte che, in ragione della sua debolezza contrattuale derivante da oggettive deficienze informative, occupa nel rapporto contrattuale una posizione diseguale rispetto al professionista.
Da ciò ne deriva che l’art. 23 TUF risponde non solamente alla necessità di protezione dell’investitore, qualificato come contraente debole, ma del mercato in generale, avendo la normativa sugli intermediari finanziari l’obiettivo di sterilizzare il danno collettivo fatto di corti sistemici di convenienza e transattivi, perché la nullità è rimedio che scaccia un guadagno socialmente improduttivo.
La tutela degli interessi di mercato
Considerato che questa dovrebbe essere la ratio della norma, non può che concludersi per l’applicabilità del regime proprio della nullità e dunque dell’art. 1422 c.c. in punto di imprescrittibilità, considerato che la tutela degli interessi del mercato conduce a ritenere come inoperante la prescrizione al fine di assicurare una tutela reale della posizione della parte debole, e una bilanciata considerazione della situazione dell’intermediario. La nullità nell’ipotesi di assenza del contratto quadro è dunque un rimedio a tutela di interessi generali, contribuendo alla regolazione di quel mercato.
Si applicano dunque i principi sopra riassunti alla fattispecie in commento. E così, i giudici evidenziamo come difetti la produzione del contratto quadro dal quale sono derivati gli ordini di investimento delle azioni dell’istituto di credito. L’assenza non è stata neppure contestata dall’intermediario.
Assenza del contratto e nullità degli ordini di investimento
L’assenza del contratto quadro determina la nullità dei singoli ordini di acquisto, non essendo possibile una ratifica tacita che sarebbe affetta dallo stesso vizio di forma.
Pertanto, la sanzione della nullità dell’ordine di acquisto delle azioni emesse dall’istituto di credito in sede di carenza del contratto quadro, apre le porte all’azione restitutoria.
Dinanzi a tale azione non può essere accolta alcuna eccezione di buona fede. Tale eccezione, affermano i giudici, presuppone l’esistenza di un contratto quadro di intermediazione che nel caso concreto difetta del tutto.
Dunque, ne consegue che al cliente della banca spetta il risarcimento del danno da calcolarsi come differenziale dei titoli investiti, pari al danno emergente patito. Rimane ferma la detrazione dal riconoscimento della somma delle cedole riscosse.
Le conclusioni sugli ordini di investimento
In conclusione, le cedole sono quantificate in 2.918,12 euro. Ne deriva che l’importo dovuto al cliente a titolo di ripetizione del debito è pari a 77.599,88 euro. A ciò vanno poi aggiunti interessi dalla data della domanda e fino al soddisfo. Ogni rivalutazione monetaria è dovuta, trattandosi di debito di valuta e non di valore.
Sempre secondo le motivazioni dei giudici, non va riconosciuta al cliente una somma a titolo di lucro cessante. Il cliente dell’intermediario finanziario non ha infatti fornito alcuna prova sul diverso investimento che avrebbe effettuato. E, dunque, come sarebbero state usate le somme impiegate nell’acquisto delle azioni della banca.