L’usura – indice:
- La vicenda
- Giudizio primo grado
- Giudizio appello
- Mora e usura
- Interpretazione letterale
- L’interpretazione sistematica
- Interpretazione finalistica
- Interpretazione storica
- Usurarietà degli interessi
La sentenza n. 27442/2018 della Cassazione civile, sez. III, apporta un’articolata analisi delle condizioni convenzionali tra cliente e banca, che possano prevedere interessi superiori al tasso usura, e la conseguente nullità del patto in questione.
Il contenuto dell’ordinanza è molto ricco, e ci offre lo spunto per poter compiere un completo approfondimento su questo argomento.
La vicenda
Cerchiamo di riassumere in breve la vicenda. Nel 2006 una società stipulò un contratto di leasing con la Banca, accompagnando il finanziamento con una fideiussione. Nel 2013 la società e il fideiussore convennero dinanzi al Tribunale la banca, affermando che il contratto di leasing prevedeva interessi moratori nella misura dell’8,6% annuo, con un livello dunque superiore a quello massimo legale applicabile ratione temporis, pari al 7,86%.
Per la società e il fideiussore, di conseguenza, il saggio degli interessi di mora doveva ritenersi usurario, e quindi nullo il relativo patto. La conseguenza della nullità del patto che fissava la misura degli interessi moratori era la liberazione del debitore dal pagamento di qualsiasi interesse, ex art. 1815 c.c..
Il giudizio di primo grado
Dal canto suo, la banca si costituì eccependo che il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari, ovvero il tasso-soglia, non fosse applicabile agli interessi di mora. Nel 2014 il Tribunale rigettò la domanda, ritenendo che la regola per cui gli interessi eccedenti il tasso-soglia sono usurari e non dovuti non si applicasse agli interessi moratori, come da parere della banca. La sentenza venne appellata dai soccombenti.
Il giudizio in appello
In sede d’appello, nel 2016, il gravame viene rigettato. La Corte d’appello ritenne infatti che gli interessi corrispettivi e quelli moratori siano “ontologicamente” disomogenei, considerato che i primi remunerano un capitale, mentre i secondi costituiscono una sanzione convenzionale ed una coazione indiretta per dissuadere il debitore dall’inadempimento, e potrebbero pertanto essere assimilabili ad una clausola penale.
All’epoca, i giudici di appello affermarono che gli interessi corrispettivi siano necessari, quelli moratori siano eventuali, che i primi hanno una finalità di lucro, i secondi di risarcimento, e che non esista nessuna norma di legge che commini la nullità degli interessi moratori eccedenti il tasso soglia. Ulteriormente, la sentenza d’appello si concluse con i giudici che rammentano come quanto sopra si desume dalla circostanza che la rilevazione periodica, da parte del Ministero del Tesoro, degli interessi medi praticati dagli operatori finanziari viene effettuata trascurando quelli moratori, e che sarebbe stato irrazionale, nel caso di specie, ritenere usurari interessi moratori convenzionali al saggio dell’8,6%, laddove nella stessa epoca la legge contro i ritardi nel pagamento delle transazioni commerciali tra imprenditori prevedeva, come interesse legale di mora, un saggio del 9,25%.
La sentenza d’appello viene impugnata da società e fideiussore per Cassazione.
Interessi di mora e usura
I giudici della Suprema Corte sembrano sposare la tesi degli impugnanti. Nel far ciò, innanzitutto rammentano come gli interessi convenzionali di mora non sfuggano alla regola generale per cui, se pattuiti ad un tasso eccedente quello soglia, siano definibili come usurari, con le conseguenze di cui si dirà più in avanti.
Un principio, quello di cui sopra, già più volte affermato dalla stessa Corte, che sottolinea come l’art. 2 I. 108/96 vieti di pattuire interessi eccedenti la misura massima ivi prevista. La norma in questione si applica sia agli interessi promessi a titolo di remunerazione d’un capitale o della dilazione d’un pagamento (ovvero, gli interessi corrispettivi di cui all’art. 1282 c.c.), sia agli interessi dovuti in conseguenza della costituzione in mora (ovvero, gli interessi moratori di cui all’art. 1224 c.c.).
Una conclusione, quella appena rammentata, che si concretizza come l’unica consentita da tutti e quattro i tradizionali criteri di ermeneutica legale, che in sentenza vengono brevemente ripresi. Vediamoli insieme.
Interpretazione letterale
Per quanto attiene l’interpretazione letterale, nessuna delle norme che vietano la pattuizione di interessi usurari esclude dal suo ambito applicativo gli interessi usurari.
In particolare, viene richiamato alla mente l’art. 644, comma primo, c.p., che stabilisce come
chiunque (..) si fa dare o promettere (..) in corrispettivo di una prestazione di denaro (…) interessi (..) usurari, è punito con la reclusione da due a dieci anni e con la multa da euro 5.000 a euro 30.000.
Il terzo comma afferma che
la legge stabilisce il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari.
A tali norme viene data attuazione con la l. 108/1996, che all’epoca della stipula del leasing (2006) affermava come
il limite previsto dal terzo comma dell’art. 644 del codice penale, oltre il quale gli interessi sono sempre usurari, è stabilito nel tasso medio risultante dall’ultima rilevazione pubblicata nella Gazzetta Ufficiale ai sensi del comma 1 relativamente alla categoria di operazioni in cui il credito è compreso, aumentato della metà.
È poi rammentato come l’art. 1, comma 1, del d.l. 29.12.2000 n. 394 (convertito nella I. 28 febbraio 2001, n. 24), nell’interpretare autenticamente l’art. 644 c.p., stabilisca come
ai fini dell’applicazione dell’art. 644 del codice penale (..) si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento.
Insomma, nessuna delle norme succitate distingue tra i vari tipi di interessi.
L’interpretazione sistematica
Gli interessi corrispettivi e gli interessi convenzionali moratori sono soggetti al divieto di interessi usurari anche perché entrambe le forme rappresentano una remunerazione di un capitale di cui il creditore non ha goduto. Nel primo caso, in modo volontario. Nel secondo caso, in modo involontario.
La Cassazione ricorda come gli interessi moratori di cui all’art. 1224 c.c. abbiano come scopo quello di risarcire il creditore del danno patito in conseguenza del ritardo nel pagamento d’un debito pecuniario. Tuttavia, il danno che il creditore d’una somma di denaro può patire non può che consistere o nella necessità di ricorrere al credito, remunerando con l’interesse chi glielo conceda, o di rinunciare ad impiegare la somma dovutagli in investimenti proficui.
Dunque, in entrambi i casi il danno che viene patito dal creditore di una obbligazione pecuniaria non è altro che la conseguenza del principio economico della naturale fecondità del danaro. Un principio che è anche alla base del patto di interessi accessorio ad un contratto di mutuo.
Di fatti, precisano ancora i giudici, così come chi dà a mutuo una somma di denaro legittimamente esige un interesse, perché deve essere compensato della privazione di un bene fruttifero (il capitale), allo stesso modo chi non riceve tempestivamente la somma dovutagli deve essere compensato dei frutti che quel capitale gli avrebbe garantito, se ne fosse rientrato tempestivamente in possesso.
Insomma, sia gli interessi compensativi, che quelli convenzionali moratori ristorano dunque il differimento nel tempo del godimento di un capitale, essendo diversi solo nella fonte (il contratto e la mora) e nella decorrenza (immediata o differita ed eventuale), ma non nella funzione.
Interpretazione finalistica
Passiamo dunque all’interpretazione finalistica. Per i giudici, che gli interessi convenzionali moratori non sfuggano alle previsioni della I. 108/96 è anche confermato dalla ratio di tale legge.
I giudici sottolineano infatti come il legislatore abbia disciplinato il tema con la I. 108/96 per poter mettere a tacere le infinite questioni che, in precedenza, si ponevano in giudizio allorché si trattava di accertare l’usurarietà di un patto di interesse. Ovvero, se occorresse adottare il criterio oggettivo o quello soggettivo, come valutare il contesto del contratto, quanto rilevasse la condizione e qualità personale delle parti, e così via.
In questo contesto, la I. 108/96 ha introdotto un criterio oggettivo, con la finalità di tutelare da un lato le vittime dell’usura, e dall’altro il superiore interesse pubblico all’ordinato e corretto svolgimento delle attività economiche.
Dunque, escludere dall’applicazione di quella legge il patto di interessi convenzionali moratori da un lato sarebbe per i giudici incoerente con lo scopo perseguito. Dall’altro lato condurrebbe al risultato paradossale che per il creditore sarebbe più vantaggioso l’inadempimento che l’adempimento. O, ancora, potrebbe consentire pratiche fraudolente, come quella di fissare termini di adempimento brevissimi, al solo fine di favorire la formazione di mora.
Interpretazione storica
Chiudiamo infine con l’interpretazione storica. L’analisi dell’istituto in esame conferma infatti che gli interessi moratori sorsero per compensare il creditore dei perduti frutti del capitale non restituito, e che l’opinione secondo cui gli interessi moratori avrebbero una funzione diversa da quelli corrispettivi sorse non per sottrarre gli interessi moratori alle leggi antiusura. Bensì, per aggirare il divieto canonistico di pattuire interessi tout court.
Per i giudici, il fatto che nel nostro codice civile permangano due diverse norme (una per agli interessi moratori, l’altra per gli interessi corrispettivi) non si spiega con la distinzione tra le due categorie di interessi e non ne giustifica un diverso trattamento rispetto alle pratiche usurarie, ma è un mero retaggio dell’unificazione del codice civile e di quello di commercio, che avevano risolto in termini diversi il problema della decorrenza degli effetti della mora (rimandiamo alla lettura integrale della sentenza una interessante ricostruzione).
Il riscontro dell’usurarietà degli interessi
Prima di procedere alle conclusioni, i giudici apportano anche un’interessante aggiunta finale.
Di fatti, con la giustificazione che si vuole prevenire un ulteriore contenzioso, il Collegio ha reputato opportuno soggiungere una notazione finali legata al riscontro dell’usurarietà degli interessi convenzionali moratori, che deve essere compiuto confrontando puramente e semplicemente il saggio degli interessi pattuito nel contratto col tasso soglia calcolato con riferimento a quel tipo di contratto, senza alcuna maggiorazione od incremento. I giudici ritengono infatti impossibile, in assenza di qualsiasi norma di legge in tal senso, pretendere che
l’usurarietà degli interessi moratori vada accertata in base non al saggio rilevato ai sensi dell’art. 2 I. 108/96, ma in base ad un fantomatico tasso talora definito nella prassi di “mora-soglia”, ottenuto incrementando arbitrariamente di qualche punto percentuale il tasso soglia.