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Home » Civile » Internet » Processo telematico, nulle (per ora) le notifiche a PEC non presenti in ReGindE

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Processo telematico, nulle (per ora) le notifiche a PEC non presenti in ReGindE

Avv. Filippo Giuseppe Tassitani Farfaglia consulenzalegaleitalia.it Processo telematico, nulle (per ora) le notifiche a PEC non presenti in ReGindE
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Avv. Filippo Giuseppe Tassitani Farfaglia

Il processo telematico e la nullità delle notifiche via PEC – indice:

  • Il domicilio digitale
  • La risposta del CNF

Negli ultimi giorni è salita alla ribalta della cronaca settoriale, e non solo, la pronuncia n. 3709/2019 da parte della Corte di Cassazione. Nella sentenza, in ambito di processo telematico, è  sancito che le notifiche effettuate a indirizzi PEC diversi da quelli contenuti nel ReGindE sono da considerarsi nulle, comprese quelle che sono compiute ai recapiti presenti nell’INI-PEC.

Una presa di posizione che però non convince il Consiglio Nazionale Forense, che con lettera dello scorso 5 marzo 2019 ha fatto notare alla Suprema Corte di essere incorsa in un errore materiale, confondendo l’INI-PEC con l’iPA, usata per scopi amministrativi. Proprio per questo motivo il Consiglio Nazionale degli avvocati richiede agli Ermellini di intervenire in fase correttiva, al fine di evitare le conseguenze negative di una simile pronuncia.

Cerchiamo allora di ricostruire quali sono stati i passaggi “controversi” della sentenza della Suprema Corte, e che cosa ha chiesto il CNF nella missiva recentemente inoltrata.

Il domicilio digitale nel processo telematico

Tralasciando la vicenda processuale, peraltro piuttosto complessa, concentriamoci esclusivamente sulle valutazioni che hanno condotto gli Ermellini a pronunciare una simile sentenza.

Di fatti, nella sua ordinanza, la Cassazione affronta innanzitutto la questione preliminare della notifica a mezzo PEC, collegata al decorso del termine e alla tempestività dell’impugnazione. Una questione che gli Ermellini hanno cercato di risolvere pronunciando il seguente principio di diritto:

Il domicilio digitale previsto dall’art. 16-sexies del d.l. n. 179 del 2012, conv. con modif. in l. n. 221 del 2012, come modificato dal d.l. n. 90 del 2014, conv., con modif., in l. n. 114 del 2014, corrisponde all’indirizzo PEC che ciascun avvocato ha indicato al Consiglio dell’Ordine di appartenenza e che, per il tramite di quest’ultimo, è inserito nel Registro Generale degli Indirizzi Elettronici (ReGindE) gestito dal Ministero della giustizia.

Solo questo indirizzo è qualificato ai fini processuali ed idoneo a garantire l’effettiva difesa, sicché la notificazione di un atto giudiziario ad un indirizzo PEC riferibile – a seconda dei casi – alla parte personalmente o al difensore, ma diverso da quello inserito nel ReGindE, è nulla, restando del tutto irrilevante la circostanza che detto indirizzo risulti dall’Indice Nazionale degli Indirizzi di Posta Elettronica Certificata (INI-PEC). Facendo applicazione del principio nel caso di specie, si deve concludere che la notificazione della sentenza impugnata presso un indirizzo di posta elettronica dell’Avvocatura dello Stato diverso da quello inserito nel ReGindE non è idonea a far decorrere il termine per l’impugnazione, ai sensi dell’art. 326 cod. proc. Civ. (…).

Una stretta piuttosto inconsueta, sottolineano gli avvocati, che di fatti ha suscitato una pronta reazione da parte del CNF.

La risposta del CNF in riferimento alle notifiche via PEC

Dinanzi a una simile valutazione, infatti, il Consiglio Nazionale Forense ha formulato una risposta che cerca di stimolare un provvedimento correttivo e, di conseguenza, cercare di limitare le conseguenze del principio sopra ricordato.

Indirizzata al presidente della Corte di Cassazione, la lettera rileva l’errore materiale in cui la Suprema Corte sarebbe incorsa, osservando che contrariamente a quanto si sostiene nella sentenza, l’INI-PEC viene qualificato dal Codice dell’Amministrazione Digitale come un elenco pubblico, da cui si possono estrarre gli indirizzi PEC. Di contro, una simile operazione non è affatto consentito con l’elenco iPA, che è l’indice delle Pubbliche Amministrazioni, il cui scopo è – peraltro – non giudiziario, ma amministrativo.

Dunque, per il CNF gli Ermellini sarebbero caduti nel (grave) errore di aver confuso iPA e INI-PEC, con le conseguenze ora prevedibili in seguito alla pronuncia sopra riassunta.

Si legge nella lettera inviata al presidente della Corte che

mentre l’INI-PEC è espressamente qualificato dal Codice dell’Amministrazione Digitale come pubblico elenco, dal quale è pertanto possibile estrarre l’indirizzo PEC ai sensi dell’art. 3-bis della l. 53/1994, tale non è l’iPA.

E la circostanza è incontroversa sia in punto di fatto che di diritto anche secondo quanto affermato in precedente sentenze di codesta Corte. Superfluo precisare quali possano essere le immediate ripercussioni negative in tema di notifica telematica. Auspico che Ella possa valutare le modalità di intervento idonee a porre rimedio all’accaduto (…)

Avv. Tassitani Farfaglia – diritto dell’informatica, internet e social network

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