Il risarcimento per aver parlato male dell’altro genitore – indice:
- Il caso del tribunale di Roma
- L’audizione del minore
- La condanna al risarcimento
- La sentenza di Mantova
Una recente sentenza del Tribunale di Roma si inserisce in una discreta linea giurisprudenziale già sperimentata qualche anno fa dal Tribunale di Mantova, e confermata dai giudici della Suprema Corte, secondo cui può essere condannata a risarcire il danno l’ex moglie che parla male del proprio ex marito ai figli.
Il genitore condannato per aver parlato male del genitore al figlio – Sentenza 18799/16 del Tribunale civile di Roma
Cominciamo dalla pronuncia cronologicamente a noi più vicina, quella del Tribunale di Roma. La sentenza dei giudici civili ha infatti condannato a 30 mila euro di sanzione una mamma che parlava male dell’ex marito al figlio. I giudici hanno in merito accertato che il genitore condannato, una madre che aveva l’affidamento esclusivo del figlio minore, non avrebbe cercato di riavvicinare il bambino al padre, agendo invece in senso opposto, screditando il marito.
Nei motivi della sentenza, i giudici notano infatti che la madre non avrebbe “posto in essere alcun comportamento propositivo per tentare di riavvicinare (omissis) al padre, risanandone il rapporto nella direzione di un sano e doveroso recupero necessario per la crescita equilibrata del minore già gravemente sofferente a causa di una patologia da cui è affetto sin dalla nascita, ma al contrario continuando a palesare la sua disapprovazione in termini screditanti nei confronti del marito”.
Invece, ricordano i giudici, “sarebbe stato per conto precipuo onere di costei, quand’anche non direttamente responsabile delle origini del processo di triangolazione, attivarsi al fine di consentire il giusto recupero del ruolo paterno da parte del figlio che nella tutela della bigenitorialità cui è improntato lo stesso affido condiviso postula il necessario superamento delle mutilazioni affettive del minore da parte del genitore per costui maggiormente referenziale nei confronti dell’altro, non soltanto spingendolo verso il padre, anzichè avallando i pretesti per venir meno agli incontri programmati, ma altresì recuperando la positività della concorrente figura genitoriale nel rispetto delle decisioni da costui assunte e comunque delle sue caratteristiche temperamentali”.
L’audizione del minore
I giudici riportano inoltre, nelle stesse motivazioni, i risultati dell’audizione del minore, nel quale si riporta esplicitamente un “atteggiamento di sostanziale ambivalenza del medesimo, che da una parte ha parole fortemente denigratorie nei confronti del padre, ma dall’altro ne sottolinea il ruolo di superiorità sia nell’ambito del nucleo familiare che nel campo sportivo (omissis), che evidenziano la sua ammirazione unitamente ad un implicito desiderio di emulazione, che tuttavia vede il figlio già alla radice perdente. Emblematiche – continuano i giudici – sono le frasi “lui mi vuole bene in modo molto strano, è possibile che non mi voglia bene”, “lui pensa che io sia sbagliato”, evidenzianti un processo di proiezione del suo sentirsi diverso: il rifiuto del padre altro non è che l’espressione inconsapevole della sua paura di essere rifiutato”.
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Per quanto concerne invece la condanna, i giudici ritengono che in questa fattispecie “deve trovare applicazione nei confronti della ricorrente, attesa la sua condotta ad ostacolare il funzionamento dell’affido condiviso con gli atteggiamenti sminuenti e denigratori della figura paterna, tali da avere indirettamente indotto (omissis) a disattendere il calendario degli incontri con il padre, il meccanismo sanzionatorio previsto dall’art. 709-ter c.p.c. (omissis) in ragione della funzione punitiva o comunque improntata, sotto forma di dissuasione indiretta, alla cessione del protrarsi dell’inadempimento degli obblighi familiari che, attesa la loro natura personale, non sono di per sé coercibili né suscettibili di esecuzione diretta”.
La condanna al risarcimento
Quindi, ciò chiarito, i giudici hanno reputato che la sanzione più consona a tale fattispecie, tenuto conto che la condotta materna ha avuto ricadute dirette sulla figura dell’altro genitore, che è stato “svilito nel suo ruolo di educatore e di figura referenziale”, siano quella dell’ammonizione, invitandosi l’ex moglie a una condotta improntata al rispetto del ruolo genitoriale dell’ex coniuge e ad astenersi da ogni condotta negativa e denigratoria nei confronti dello stesso, “sia quella del risarcimento del danno nei confronti del resistente che si liquida in via equitativa, valutata in relazione alle sue capacità economiche e al protrarsi dell’inadempimento, nella somma di 30.000 euro, al fine di dissuaderla in forma concreta dalla protrazione delle condotte poste in essere, la cui persistenza, potrà peraltro in futuro dare adito a sanzioni ancor più gravi ivi compresa la revisione delle condizioni dell’affido”.
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La sentenza 7452/2012 del Tribunale civile di Mantova
Come già annunciato, non è questa l’unica pronuncia ad inserirsi nel novero di tali interpretazioni. Con la già accennata sentenza n. 7452/2012 del Tribunale di Mantova, confermata dalla Cassazione, una ex moglie era stata condannata a risarcire l’ex marito con 15 mila euro, e la bimba con 20 mila euro, a causa del suo atteggiamento di astio nei confronti del padre della minorenne. La donna, nel caso in esame, aveva accusato l’uomo di aver abusato della figlia minorenne: l’accusa si era poi rivelata falsa, e l’ex moglie, non gradendo la condanna in primo grado al risarcimento dei danni, si era rivolta in appello.
Nell’esame di secondo grado, i giudici della Corte d’Appello di Brescia avevano annullato il risarcimento dovuto alla figlia, ma non quello dovuto al padre, nella misura ridotta di 10 mila euro. L’ex moglie è poi ricorsa in Cassazione, ma la Prima sezione civile ha quindi respinto il ricorso della donna, confermando il suo obbligo a risarcire il padre.
Avv. Bellato – diritto di famiglia e matrimoniale, separazione e divorzio