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Home » Civile » Infortuni » Omessa diagnosi di alterazioni cromosomiche del feto – Responsabilità medica

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Omessa diagnosi di alterazioni cromosomiche del feto – Responsabilità medica

Avv. Beatrice Bellato consulenzalegaleitalia.it Omessa diagnosi di alterazioni cromosomiche del feto – Responsabilità medica
Omessa diagnosi alterazioni cromosomiche feto
Avv. Beatrice Bellato

Omessa diagnosi di alterazioni cromosomiche del feto – indice:

  • Il caso
  • I motivi del ricorso
  • Il risarcimento del danno
  • Pronunce precedenti
  • Estensione del risarcimento
  • Responsabilità medica

Il neonato, soggetto giuridicamente capace, ha diritto a chiedere e ottenere il risarcimento del danno a seguito della propria nascita deforme. A introdurre il riconoscimento di tale diritto è stata la Corte di Cassazione con la sentenza numero 16754 del 2012. Nella stessa sentenza, inoltre, la Corte si esprime positivamente sulla responsabilità del medico e della struttura sanitaria per omessa diagnosi di alterazioni cromosomiche del feto. Nel caso di specie determinante la sindrome di Down.

Indice:

  • 1 Il caso affrontato dalla Corte di omessa diagnosi di alterazioni cromosomiche del feto
  • 2 I motivi del ricorso e l’accoglimento della Suprema Corte
    • 2.1 Il primo punto
    • 2.2 La seconda questione
    • 2.3 Il nocciolo della pronuncia
  • 3 Il diritto del neonato al risarcimento del danno per omessa diagnosi di alterazioni cromosomiche del feto
  • 4 Le sentenze precedenti
  • 5 L’estensione del risarcimento
  • 6 La responsabilità medica per omessa diagnosi di alterazioni cromosomiche del feto

Il caso affrontato dalla Corte di omessa diagnosi di alterazioni cromosomiche del feto

Il caso di specie ha visto una coppia di genitori adire il tribunale per convenire in giudizio il medico ginecologo della madre e l’azienda sanitaria, solidalmente responsabili, a seguito della nascita di un figlio deforme.

La donna lamentava come tale difformità potesse essere evitata. Sosteneva in particolare che il medico non aveva accolto le sue richieste di indagine volte ad escludere eventuali malformazioni del feto. In tal caso, infatti, la donna sarebbe potuta venire a conoscenza della patologia del nascituro e avrebbe potuto esercitare tempestivamente il suo diritto all’aborto. Il ginecologo invece si sarebbe limitato a chiedere l’esecuzione di un solo test non specifico e non mirato all’individuazione di alterazioni cromosomiche del feto.

Nello specifico il figlio era nato affetto da sindrome di Down. I familiari chiedevano il risarcimento del danno per inadempimento contrattuale del medico e dell’azienda, sostenendo la responsabilità medica del ginecologo. 

I motivi del ricorso e l’accoglimento della Suprema Corte

Il caso era già stato affrontato in sede di primo e secondo grado. In tali sedi i giudici competenti avevano rigettato le domande dei genitori e dei fratelli. La questione pertanto è stata portata al vaglio di legittimità della Corte di Cassazione. Questa ha accolto, nella sentenza numero 16754 del 2012, i motivi del ricorso. Riassumendone il contenuto si riportano quelli più determinanti:

  • la negazione alla madre di poter autodeterminare la prosecuzione o meno della propria gravidanza;
  • la colpa attribuita alla stessa per non aver efficacemente provato di voler interrompere la gravidanza in caso di alterazioni cromosomiche del feto;
  • il diritto del neonato al risarcimento del danno.

Il primo punto

In primo grado la Corte aveva rigettato il ricorso dei genitori. In terzo grado sottolinea come una persona ignorante di medicina non possa essere in grado di individuare e dunque chiedere determinati tipi di accertamenti specifici. La donna inoltre aveva espressamente manifestato la volontà di interrompere la gravidanza se fossero sopraggiunte anomalie del feto durante la stessa. Relativamente a tale motivo, dunque, la Corte riconosce la responsabilità del medico per “la violazione del diritto di autodeterminazione della donna nella prospettiva dell’insorgere, sul piano della causalità ipotetica, di una malattia fisica o psichica”.

La seconda questione

Nel secondo grado di giudizio la Corte di Appello aveva rigettato la domanda risarcitoria. In questa aveva definito la madre “colpevole” di non aver dimostrato in alcun modo di voler interrompere la gravidanza in caso di alterazioni cromosomiche del feto. In particolare, quanto esplicitamente richiesto dalla donna non provava che tali malformazioni la avrebbero fisicamente danneggiata con l’insorgere di una malattia. La Suprema Corte nel terzo grado invece sostiene che “una precisa istanza diagnostica della signora B. espressamente funzionale ad una eventuale interruzione della gravidanza, appare di converso ricorrere l’opposta presunzione di una patologia materna destinata ad insorgere a seguito della scoperta della paventata malformazione fetale”. La presunzione addotta dalla Corte si è infatti confermata con la diagnosi del medico legale che ha accertato un danno biologico psichico a seguito della nascita del figlio affetto da sindrome di down.

Il nocciolo della pronuncia

La Suprema Corte riconosce per la prima volta il diritto del neonato di chiedere il risarcimento del danno. Su tale punto la stessa rammenta le decisioni contrarie a quella presa in questa sede. Si è  invertita la rotta di un consolidato orientamento giurisprudenziale. In due pronunce precedenti infatti tale diritto era stato negato al neonato e riconosciuto solo ai genitori.

Il diritto del neonato al risarcimento del danno per omessa diagnosi di alterazioni cromosomiche del feto

Questa è la novità che ha invertito l’orientamento fino ad allora sostenuto dall’organo di legittimità. Aprendo l’esame della fattispecie e analizzando la questione sulla legittimazione il collegio afferma come “…convertita in questione giuridica la posizione del soggetto che, attualmente esistente, avanza pretese risarcitorie e prescindendo del tutto, per il momento, dall’analisi degli ulteriori elementi della fattispecie, va riconosciuto al neonato/soggetto di diritto/giuridicamente capace (art. 1 c.c.) il diritto a chiedere il risarcimento dal momento in cui è nato”.

La Corte sostiene peraltro che la domanda risarcitoria è fondata in quanto rispondente ad alcune tutele previste dalla nostra costituzione. Il caso di specie infatti cade nella violazione dell’articolo 32 della costituzione che tutela la salute dell’individuo come ” come condizione dinamico/funzionale di benessere psicofisico”. Oltre a quella degli articoli 2, 3, 29, 30 e 31 per cui si avrebbe la negazione dello sviluppo della personalità del nascituro considerato singolarmente e collettivamente, nonché l’impedimento allo svolgimento di una vita familiare regolare.

Il diritto al risarcimento dunque si fonda sulla proiezione dell’handicap patito dal nascituro nella vita futura non considerato solo in sé stesso e in relazione alla nascita.  Riveste pertanto la funzione di ristorare il neonato colpito da handicap e i suoi familiari dallo svolgimento di una vita meno agevole di quanto avrebbe potuto essere se l’evento fosse stato precocemente individuato e impedito. In tal senso la Corte afferma  che “l’interesse giuridicamente protetto, del quale viene richiesta tutela da parte del minore ai sensi degli articoli della Carta fondamentale dianzi citati, è quello che gli consente di alleviare, sul piano risarcitorio, la propria condizione di vita, destinata a una non del tutto libera estrinsecazione secondo gli auspici dal Costituente...”.

Le sentenze precedenti

Molteplici sono state le sentenze precedenti che hanno portato avanti il principio per cui il nascituro non ha diritto al risarcimento del danno a seguito di nascita malformata. In questa sede tuttavia ci si sofferma su quelle più significative: quella del 2004 e quella del 2009.

La sentenza numero 14488 del 2004 affrontava la questione del diritto del neonato al risarcimento del danno facendo leva sul “diritto di non nascere” o il “diritto di non nascere se non sano”. La Corte sosteneva che nel nostro ordinamento non si riconosce assolutamente tale diritto in quanto, al contrario, si considera meritevole di tutela proprio il diritto alla nascita del concepito. Da tale argomentazione, dunque, discendeva l’impossibilità di riconoscere il diritto del neonato al risarcimento del danno per nascita malformata.

La pronuncia successiva, numero 10741 del 2009, ricalca quella precedente con una novità. Riconosce al nascituro, oltre che ai genitori, la tutela giuridica nascente dall’instaurazione del rapporto contrattuale tra paziente e organismi sanitari e dunque lo rende parte contrattuale. Ammette quindi il diritto al risarcimento del danno del nascituro ma per motivi diversi rispetto alla nascita non sana dello stesso. Di questa la Corte continua a negare la risarcibilità del danno come diritto del neonato.

L’estensione del risarcimento

Il risarcimento del danno cui ha diritto il neonato affetto da handicap non resta limitato alla sua persona bensì si estende nei confronti di chi fa parte del suo nucleo familiare.

La corte afferma a riguardo che “la responsabilità sanitaria per omessa diagnosi di malformazioni fetali e conseguente nascita indesiderata va estesa, oltre che nei confronti della madre nella qualità di parte contrattuale, anche al padre, nonché, a giudizio del collegio, alla stregua dello stesso principio di diritto posto a presidio del riconoscimento di un diritto risarcitorio autonomo in capo al padre stesso, ai fratelli e alle sorelle del neonato, che rientrano a pieno titolo tra i soggetti protetti dal rapporto intercorrente tra il medico e la gestante, nei cui confronti la prestazione è dovuta”.

La responsabilità medica per omessa diagnosi di alterazioni cromosomiche del feto

Con tale sentenza si assiste a un ampliamento della responsabilità medica.  Tale responsabilità fa sorgere il diritto al risarcimento del danno sotto un duplice profilo:

  • l’inadempimento dell’obbligo di mettere a disposizione tutti gli strumenti medici possibili per individuare e comunicare al paziente eventuali malformazioni cromosomiche del feto;
  • l’ostacolo all’autodeterminazione della paziente sul proprio stato di gravidanza.

Si ritiene opportuno rammentare in questa sede, non avendolo già fatto prima, quali siano le condizioni necessarie per interrompere lo stato di gravidanza secondo la legge 194 del 1978 sull’aborto:

  • “quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna”;
  • “quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna”. 

Nella pronuncia in oggetto la responsabilità medica rilevava anche in relazione alla seconda condizione prevista dalla norma appena citata. L’aver negato alla donna la conoscenza delle alterazioni cromosomiche del feto ha messo a rischio la sua salute fisica e psichica che, nel caso di specie, ne ha risentito dopo il parto per la nascita inaspettata di un figlio affetto da sindrome di down.

Avv. Bellon – responsabilità professionale e malasanità

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