Mutui tasso variabile e floor – guida rapida
- Cos’è la clausola floor
- I mutui con tasso floor
- I mutui con tassi negativi
- I fatti
- La decisione del Tribunale di Milano
- Il giudizio di vessatorietà
- Floor e cap
- La clausola prima di novembre 2016
La recente sentenza n. 2836 del 6 settembre 2022 da parte della Corte d’Appello di Milano ha stabilito un principio molto importante. La pronuncia dei giudici milanesi ha infatti riconosciuto il carattere vessatorio della clausola Floor applicata ai mutui a tasso variabile. Di qui, la possibilità che i titolari di mutui a contraddistinti da questa clausola possano ottenere la restituzione di una parte degli interessi corrisposti.
Ma che cos’è la clausola Floor? E come si è arrivati a questa pronuncia da parte dei giudici di seconde cure?
Cos’è la clausola Floor
Prima di comprendere quali siano le valutazioni effettuate dalla Corte, proviamo a definire brevemente i mutui a tasso variabile con Floor.
Come noto, i mutui a tasso variabile “ordinari” sono contraddistinti da un interesse per rata che dipende da un parametro di riferimento. Di norma tale parametro di riferimento è l’Euribor, un valore interbancario usato dagli istituti di credito per regolare i rapporti a breve termine tra di loro.
Ora, nelle concessioni di credito il tasso finale applicato al cliente sarà composto non solamente dall’Euribor. Quanto, in sostanza, anche da uno spread che, di fatto, rappresenta la remunerazione che la banca consegue dal credito erogato al cliente.
I mutui con tasso Floor
Nell’ambito dei mutui a tasso variabile hanno trovato diffusione anche i mutui con tasso Floor. Si tratta dei finanziamenti che fissano un limite minimo al valore che può assumere il tasso complessivo.
Per esempio, nel caso di mutuo con tasso variabile parametrato all’Euribor, con Floor del 3%, il tasso applicato sulle rate potrebbe aumentare o diminuire sulla base dell’andamento dell’indice. Ma, in ogni caso, non può scendere sotto il Floor.
Così strutturato, il mutuo a tasso variabile con Euribor sembra essere una sorta di sostanziale protezione nei confronti della remunerazione bancaria. La quale, con questa condizione, viene messa al riparo da riduzioni troppo ripide dell’Euribor. Viene così garantito alla banca un tasso minimo pari allo spread.
I mutui con tassi in territorio negativo
Ora, fatte salve le premesse di cui sopra, tra il marzo del 2015 e l’estate del 2022 le politiche monetarie degli istituti di credito hanno contribuito a spingere i valori dell’Euribor in territorio negativo.
La conseguenza di questa evoluzione è quella di aver innescato nei mutui a tasso variabile l’effettiva applicazione della clausola Floor. L’effetto è stato quello di aver sostanzialmente incrementato l’importo delle rate dei mutui nella componente interessi.
In questo scenario, la Corte d’Appello è intervenuta in un contenzioso sollevato da un consumatore contro la Banca BPM, a cui contestava la vessatorietà della clausola Floor. La contestazione non riguardava in senso stretto la vessatorietà della clausola Floor perché rendesse il mutuo più oneroso, ma perché determinava uno squilibrio ingiusto nella distribuzione dei rischi connessi all’evoluzione dei tassi Euribor.
In altri termini, per il consumatore un meccanismo che limitasse i tassi verso il basso, a cui però non corrispondesse un identico meccanismo di limitazione dei tassi verso l’alto (il Cap), assicurerebbe la tutela del rischio finanziario solamente alla controparte professionale, l’istituto di credito, e non anche al mutuatario, la parte consumatrice.
I fatti
Introdotto quanto sopra, cerchiamo di riepilogare brevemente la natura del caso e, di conseguenza, le valutazioni dei giudici.
Con citazione a comparire dinanzi al Tribunale di Milano un consumatore proponeva contro la banca un’azione inibitoria collettiva ai sensi degli artt. 37 e 140 del Codice del Consumo al fine di ottenere l’inibitoria della clausola floor nelle condizioni generali dei contratti di mutuo a tasso variabile, e ottenere la condanna della banca ad eliminare gli effetti dannosi della propria condotta.
Per il consumatore, infatti, l’applicazione di tale clausola determinava un eccessivo squilibrio tra i diritti e gli obblighi delle parti, risultando contraria agli artt. 34 e 35 del Codice del Consumo.
La clausola, inserita nei contratti di mutuo a tasso variabile, implicava infatti che nel caso di parametro di riferimento (Euribor) sotto zero, lo stesso sarebbe stato considerato pari a zero, con la conseguenza che il tasso globale composto dal parametro di riferimento e dallo spread, non sarebbe stato in alcun caso inferiore allo spread concordato.
La decisione del Tribunale di Milano
Il Tribunale di Milano respingeva l’azione collettiva. Dopo aver richiamato la normativa e la giurisprudenza comunitaria sulle clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, infatti, i giudici milanesi hanno ritenuto che non potesse considerarsi vessatoria una clausola come quella contestata, che, regolando la misura degli interessi dovuti dal mutuatario, contribuisce a definire le prestazioni essenziali del contratto.
Insomma, per il Tribunale milanese questa clausola riguarda l’oggetto del contratto. Non è dunque sindacabile come vessatoria perché in grado di definire gli interessi dovuti dal mutuatario. I quali, dal canto loro, rappresentano una prestazione essenziale del contratto sinallagmatico di mutuo, impedendone l’aleatorietà.
Ancora, il Tribunale ha ritenuto che la clausola contestata fosse chiara nella sua formulazione letterale riportata nelle condizioni generali. Ha pertanto ritenuto di non dover prendere in considerazione la doglianza relativa all’inserimento di tale clausola prima di una certa data solo in foglietti informativi e non anche nelle condizioni generali di contratto.
Il cliente dell’istituto di credito ha dunque ritenuto opportuno appellare la sentenza in Cassazione sulla base di tre motivi.
L’applicabilità del giudizio di vessatorietà alla clausola floor
Il primo motivo di appello riguarda l’applicabilità del giudizio di vessatorietà alla clausola floor. In sintesi, l’appellante ha contestato l’inquadramento della clausola nella nozione di oggetto principale del contratto, dovendosi invece la stessa qualificare come accessoria ed essere quindi soggetta al giudizio di vessatorietà.
Per l’appellante
“nel caso di specie, non si discute della vessatorietà dell’obbligo del mutuatario di restituire alla Banca la somma presa a mutuo maggiorata degli interessi, ma della vessatorietà di una clausola adottata dalla Banca che prevede una particolare modalità di calcolo degli interessi e che per di più trova applicazione solamente nell’ipotesi eccezionale in cui il parametro di riferimento (l’Euribor) abbia assunto un valore negativo. In questo caso, non si può dire che anche questa particolarissima clausola costituisca una “prestazione essenziale e caratterizzante” del contratto di mutuo a tasso variabile. Infatti, la clausola di cui si discute non è né essenziale né soprattutto caratterizzante di questo tipo di contratto. Elementi essenziali e caratterizzanti di un contratto di mutuo a tasso variabile – per quanto riguarda le obbligazioni del consumatore – sono l’obbligo di restituire il capitale preso a mutuo, la durata del mutuo, la frequenza e l’entità di ciascuna rata, il parametro di riferimento, l ‘entità dello spread”.
La Corte di Cassazione ritiene fondato il motivo
I giudici richiamano l’art. 3 della Direttiva 93/13/CEE del Consiglio 5.4.1993, secondo cui una clausola contrattuale che non è stata oggetto di negoziato individuale si considera abusiva se, malgrado il requisito della buona fede, determina, a danno del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto.
Ancora, l’art. 4 della Direttiva stabilisce che
“il carattere abusivo di una clausola contrattuale è valutato tenendo conto della natura dei beni o servizi oggetto del contratto e facendo riferimento, al momento della conclusione del contratto, a tutte le circostanze che accompagnano detta conclusione e a tutte le altre clausole del contratto o di un altro contratto da cui esso dipende.
La valutazione del carattere abusivo delle clausole non verte né sulla definizione dell’oggetto principale del contratto, né sulla perequazione tra il prezzo e la remunerazione, da un lato, e i servizi o i beni che devono essere forniti in cambio, dall’altro, purché tali clausole siano formulate in modo chiaro e comprensibile”.
Gli spunti comunitari sono stati recepiti in Italia dal Codice del Consumo che, all’art. 33, prevede appunto che nel contratto concluso tra il consumatore ed il professionista si considerano vessatorie le clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto.
La valutazione della vessatorietà
Il successivo art. 34 stabilisce inoltre che
“la vessatorietà di una clausola è valutata tenendo conto della natura del bene o del servizio oggetto del contratto e facendo riferimento alle circostanze esistenti al momento della sua conclusione ed alle altre clausole del contratto medesimo o di un altro collegato o da cui dipende.
La valutazione del carattere vessatorio della clausola non attiene alla determinazione de/l’oggetto del contratto, né all’adeguatezza del corrispettivo dei beni e dei servizi, purchè tali elementi siano individuati in modo chiaro e comprensibile”.
Chiarito il quadro normativo, si rammenta anche che nella motivazione della sentenza Corte di Giustizia 30.4.2014 Kasler C-26/13, che fu richiamata dal giudice di prime cure, è precisato che
“poiché l ‘articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93113 sancisce un’eccezione al meccanismo di controllo nel merito delle clausole abusive quale previsto nel/ ‘ambito del sistema di tutela dei consumatori attuato da tale direttiva, occorre dare un ‘interpretazione restrittiva alla disposizione in parola“.
La Corte di Giustizia chiarisce quindi che
“le clausole contrattuali rientranti nella nozione di «oggetto principale del contratto» ai sensi di tale disposizione devono intendersi come quelle che fissano le prestazioni essenziali dello stesso contratto e che, come tali, lo caratterizzano”
e che
“per contro le clausole che rivestono un carattere accessorio rispetto a quelle che definiscono l’essenza stessa del rapporto contrattuale non possono rientrare nella nozione di oggetto principale del contratto”.
Traendo le conclusioni su questo primo motivo di ricorso, la Corte di Cassazione, alla luce dei riferimenti normativi e giurisprudenziali ora accennati, non ritiene sia possibile qualificare la clausola floor come attinente ad una prestazione essenziale e quindi caratterizzante del contratto.
La vessatorietà della clausola floor in mancanza di una correlativa clausola cap
Il secondo motivo di ricorso riguarda la vessatorietà della clausola floor in mancanza di una correlativa clausola cap.
Secondo l’appellante, bisognerebbe ricorrere al criterio desumibile dalla giurisprudenza comunitaria e quindi
“verificare se un professionista di buonafede e un consumatore che non si trovasse nella situazione di debolezza che lo caratterizza (sia dal punto di vista informativo, che dal punto di vista della forza contrattuale) avrebbero convenuto una clausola del tipo di cui si discute nell’ambito di un negoziato individuale, anche alla luce del regolamento contrattuale applicabile in mancanza di questa clausola”.
Ora, sempre secondo le ricostruzioni dell’appellante, l’esito di tale verifica condurrebbe al risultato che
“il consumatore non accetterebbe mai la clausola floor, che determina una diversa distribuzione dei rischi e dei benefici dei contratti di mutuo a tasso variabile, senza ottenere in cambio un qualche vantaggio corrispettivo, quale può essere una corrispondente clausola cap (che ponga un tetto massimo al parametro di riferimento), oppure una riduzione – evidenziata in contratto – dello spread applicabile”.
Anche questo secondo motivo è fondato a giudizio della Corte. Gli Ermellini rammentano infatti che si deve considerare vessatoria la clausola che determina a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto e tale situazione certamente ricorre nel caso di applicazione della clausola floor, se non è accompagnata da uno stesso meccanismo correttivo quale potrebbe essere quello derivante dall’applicazione di una clausola cap né da una riduzione dello spread, che non emerge nella modulistica prodotta in giudizio.
Euribor a zero
I giudici sottolineano di fatti come l’ipotesi che si valuti l’indice Euribor pari a zero nel caso che assuma valore negativo implica l’obbligo del mutuatario di corrispondere gli interessi ad un tasso comunque pari allo spread pattuito, senza beneficiare interamente della variazione favorevole dell’indice, come invece può ben fare l’istituto di credito che, dal canto suo, non è soggetto ad alcuna limitazione nelle ipotesi di rialzo dell’indice. Una situazione che, per la Corte, attiene i diritti e gli obblighi nascenti dal contratto.
Insomma, la disciplina negoziale derivante dalla clausola floor non incide sulla congruità della remunerazione, ma determina uno squilibrio giuridico e normativo. Permette infatti ad una sola parte (la banca) di conseguire un pieno beneficio dalle variazioni favorevoli dell’indice, limitando il pregiudizio che deriva dalle variazioni a sé sfavorevoli.
La natura non chiara e trasparente della clausola floor prima del novembre 2016
Si arriva così al terzo motivo, che verte sulla natura non chiara e trasparente della clausola floor prima del novembre 2016.
In particolare, l’appellante afferma che
“la clausola floor applicata è vessatoria, perché, almeno sino al mese di novembre del 2016, essa non era chiara e comprensibile per il consumatore, dal momento che essa era riportata solamente nel foglio illustrativo, mentre non era riportata, né nel capitolato delle condizioni generali di contratto, né nel modello di contratto di mutuo”.
Per il cliente dell’istituto di credito, il fatto che la clausola non fosse inserita nelle condizioni generali non escluderebbe la natura di clausola contrattuale. Il contenuto del contratto può infatti essere determinato anche per relationem. L’istituto di credito, che l’aveva inserita nei foglietti illustrativi proprio per applicarla nei contratti, non ha mai negato di averla applicata prima del 2016.
Per la Corte tale motivo rimane assorbito nell’accoglimento degli altri due.