La leva finanziaria – indice
- Cosa è la leva finanziaria
- Perchè usare la leva finanziaria
- I rischi della leva finanziaria
- Il rischio sistemico
La leva finanziaria è uno strumento che permette ad un soggetto di acquistare o vendere delle attività finanziarie per un importo superiore al capitale effettivamente posseduto.
Da quanto sopra ne deriva che l’utilizzo del leverage può incrementare il rendimento ottenibile da un investimento finanziario. Considerato che il capitale su cui si calcoleranno i guadagni in termini relativi sarà maggiore di quello che si possiede.
Di contro, un errato utilizzo della leva finanziaria può portare al rischio di andare incontro a ingenti perdite, considerato che saranno calcolate su un capitale maggiore rispetto a quello proprio.
E’ in virtù di tutto ciò che la leva finanziaria costituisce un’arma a doppio taglio particolarmente delicata da manovrare. Un coerente utilizzo può infatti condurre il soggetto a beneficiare di un rendimento potenziale elevato. Un utilizzo scorretto può invece condurre a gravi perdite finanziarie.
Detto ciò, cerchiamo di comprendere come funziona la leva finanziaria e quali sono i principali aspetti che bisogna tenere bene a mente nel momento in cui ci si avvicina a questo strumento.
Cosa è e come funziona la leva finanziaria
Per capire come funziona la leva finanziaria può essere utile partire subito con un semplice esempio.
Ipotizziamo di avere 1.000 euro a disposizione, e di voler investire sulla società Alfa, quotata alla Borsa di Milano, acquistando tale titolo.
Cerchiamo altresì di ipotizzare che, al termine del periodo di investimento, otterremo un guadagno del 20%. Se le previsioni dovessero dimostrarsi corrette, ne deriva che guadagneremo 200 euro, ovvero il 20% di 1.000 euro, il nostro capitale. Se invece le cose dovessero andare male, e il titolo dovesse andare incontro a una perdita del 20%, alla fine del periodo di investimento avremo non più 1.000 euro, bensì 800 euro.
Ora, ipotizziamo però che si voglia investire in tale titolo con una leva finanziaria non troppo aggressiva, pari a 2:1. In questo caso, il capitale effettivamente investito non sarà pari a 1.000 euro, ma sarà pari a 2.000 euro. E gli altri 1.000 euro di differenza, da dove arrivano?
È piuttosto semplice. E, per capirlo, è sufficiente pensare a questi 1.000 euro aggiuntivi come a una sorta di prestito che l’intermediario finanziario che ha permesso tale operazione ci ha elargito.
Tra pro e contro
Chiusa questa parentesi, se effettivamente le nostre previsioni dovessero rivelarsi corrette, avremo ottenuto un guadagno di 400 euro, perché il + 20% di rendimento del titolo verrebbe calcolato non sul capitale effettivo di 1.000 euro, bensì sul capitale influenzato dal leverage, ovvero 2.000 euro.
Naturalmente, se invece la nostra previsione non dovesse rivelarsi corretta, perché il titolo in quel frangente temporale ha perso il 20%, la nostra perdita non sarà più solamente di 200 euro, bensì di 400 euro.
Certo, per poter contabilizzare correttamente l’operazione bisognerà tenere in considerazione il fatto che il prestito che l’intermediario finanziario ci ha concesso non sarà certo gratuito, ma bisognerà invece pagare delle commissioni e/o degli interessi.
Tuttavia, il concetto di fondo non cambia: la leva finanziaria ci permette di amplificare i rendimenti ottenibili da un investimento, nel bene (utile) e nel male (perdita).
Pertanto, la leva finanziaria è equiparabile anche a una sorta di “lente di ingrandimento”, o a un effetto moltiplicatore. In entrambi i casi, pur senza muovere un capitale più elevato, riusciremo a contabilizzare dei rendimenti superiori.
Meno capitali immobilizzati
È evidente che l’esempio di cui sopra può essere facilmente “invertito”. Nel senso di poter immobilizzare un minore capitale, a fronte di un rendimento atteso costante.
Se infatti il nostro obiettivo non è quello di massimizzare i profitti, bensì di conseguire il profitto preventivato di 200 euro, ma immobilizzando meno capitale, potremo semplicemente dimezzare il capitale impegnato nell’operazione.
Investire in leva finanziaria 2:1 500 euro invece di 1.000 euro, infatti, ci permetterà di impegnare la metà del capitale a nostra disposizione. Pur a fronte dello stesso rendimento conseguibile!
Perché investire in leva finanziaria
Ma per quale motivo investire in leva finanziaria?
In parte, ne abbiamo già parlato. E, sulla base di quanto sopra anticipato, le potenzialità dell’utilizzo dell’effetto leverage dovrebbero essere chiari.
Investire in leva finanziaria significa infatti poter ambire a rendimenti più elevati di quelli che potremmo permetterci con il nostro capitale, oppure puntare ai rendimenti attesi ma immobilizzando meno capitale.
Naturalmente, la leva finanziaria funziona (purtroppo) anche quando le cose vanno male. Dunque, anche se si immobilizza meno capitale, a causa dell’effetto moltiplicatore si finirà con il perdere lo stesso importo che si sarebbe perso investendo tutto il capitale originario.
Proprio per questo motivo la leva finanziaria è spesso definita come un’arma a doppio taglio. Può incrementare sensibilmente la bontà del proprio risultato finanziario, ma può anche pregiudicare molto più negativamente il proprio budget, in caso di operazione a saldo negativo.
I rischi della leva finanziaria
Proprio per poter fronteggiare con maggiore consapevolezza la leva finanziaria, abbiamo voluto dedicare un intero approfondimento ai suoi rischi, ovvero alle potenzialità “negative” del leverage per l’investitore.
Fin troppo spesso, infatti, ci si concentra sulla leva finanziaria come se fosse uno strumento di particolare interesse nel trading online, dimenticandosi però che a fronte dei valori aggiunti che il moltiplicatore rappresentato dal leverage può offrire, esistono anche correlati aspetti negativi, rischi che l’investitore dovrebbe tenere nella dovuta considerazione.
È altresì ancora più utile estendere il tema dei rischi della leva finanziaria all’interno sistema, prescindendo dunque dalla posizione del singolo investitore.
Per esempio, non sfugge il fatto che se il sistema finanziario nel suo complesso iniziasse a lavorare con una leva finanziaria piuttosto spinta, molto elevata, e gli istituti finanziari dovessero presentarsi soldi a vicenda per poter moltiplicare i possibili profitti conseguibili, allora anche la perdita di un solo operatore potrebbe innescare un effetto a catena che potrebbe pregiudicare la stabilità dell’intero mercato finanziario.
L’importanza di un uso consapevole
Insomma, guai a sottovalutare la portata negativa delle operazioni in leva finanziaria. Soprattutto se, come nello scenario finanziario odierno, si finisce con il considerare che le banche sono soggetti che tipicamente hanno l’abitudine di investire con un livello più o meno elevato di leva finanziaria. Ma che significa?
Senza scendere in eccessivi tecnicismi, le banche – a fronte di un determinato capitale netto – hanno risorse investite generalmente molto più elevate rispetto alle attività che hanno in “pancia”.
Con un caso concreto, potremmo ipotizzare che un istituto di credito che ha mezzi propri pari a 1.000 euro, potrebbe in realtà gestire risorse per 20.000 euro nel caso in cui adottasse una leva finanziaria pari a 20x. Attenzione, però. Da una parte questo contesto potrebbe apportare benefici all’istituto di credito. Il quale, in evidenza, riesce a smobilizzare molte più risorse di quelle che ha effettivamente in casa.
Dall’altro lato bisogna però sempre rammentare che una simile situazione anche una perdita piuttosto marginale delle proprie attività potrebbe comportare una grande perdita di mezzi propri (moltiplicata, come abbiamo ipotizzato, per 20).
Il rischio sistemico
Quanto sopra è solamente una piccola parte di un ecosistema molto più ampio, che determina dei rischi sistemici anche piuttosto notevoli.
Il mercato finanziario di oggi è infatti un mercato molto diverso da quello in vigore diversi decenni fa. All’epoca, una banca che aveva concesso un prestito, aveva la generale abitudine di tenerlo in bilancio fino alla scadenza. In questo modo riduceva l’importo in contabilità man mano che il proprio cliente ripagava il debito contratto. Seguendo, insomma, il piano di ammortamento sottoscritto.
Al giorno d’oggi, invece, le abitudini degli istituti di credito sono evidentemente cambiate. Non c’è più una strategia di mantenimento della posizione nel proprio bilancio. Bensì, una distribuzione della posta ad altri intermediari, evidentemente desiderosi – per il proprio business- di acquisire una parte dei debiti di un intermediario finanziario.
Pertanto, la banca moderna non fa altro che procedere a una periodica selezione dei propri crediti. Cede i debitori ad altri. E, in questo modo recupera una immediata liquidità che utilizzerà a sua volta per la sua attività caratteristica. Il risultato è l’innesco di un processo che, per certi versi, è la colonna portante che nella seconda parte dei primi anni ’10 del nuovo secolo ha condotto alla crisi dei mutui subprime.
La crisi dei subprime
All’epoca, infatti, la forte crescita dei prezzi immobiliari aveva sostenuto l’emissione di prestiti cartolarizzati (ovvero, quelle posizioni che dalla banca sono state trasferite ad aziende specializzate) e lo sviluppo esponenziale di questo mercato. Le banche ottennero importanti profitti e, contemporaneamente, perseguirono una strada di incremento aggressivo della leva finanziaria.
Purtroppo, però, dopo un po’ di tempo alcuni istituti di credito si trovarono privi del capitale sufficiente per assorbire le perdite che sono state scaturite dalla crisi del mercato immobiliare. Nello stesso frangente, l’abitudine delle banche a spingere sul pedale della leva finanziaria si era diffuso anche ad altre istituzioni finanziarie e assicurative. Le quali, alla fine, si esposero fortemente sul mercato immobiliare, legando di fatto il proprio destino ad esso.
Ovviamente, non mancano gli strumenti utili per poter ripristinare il capitale. Tuttavia, le strade non sono agevoli: sia sufficiente ricordare l’aumento del capitale, la riduzione dei prestiti, la dismissione di asset liquidi, e così via. Tentativi perseguiti, ma non sufficienti per poter contrastare la crisi dei subprime.
Insomma, se un determinato livello di leva finanziaria è del tutto fisiologico, i gravi effetti derivanti dagli eccessi sono ben evidenti.