Concorso del fatto colposo del trasportato – guida rapida
- L’errore di calcolo del giudice
- La riduzione della capacità lavorativa
- La liquidazione del danno con concorso di colpa
- Il concorso di colpa del danneggiato
Con sentenza Cass. civ. 3 gennaio 2024 n. 138, i giudici hanno affrontato il tema del concorso di colpa del terzo trasportato in occasione di un sinistro stradale.
Il danneggiato, terzo trasportato, in seguito all’incidente aveva riportato gravi lesioni. Ha agito in giudizio per il risarcimento dei danni patiti, ma la compagnia assicurativa ha contestato la fondatezza della pretesa.
Per l’assicuratore, infatti, il danneggiato avrebbe avuto una condotta negligente, accettando il passaggio da una persona in evidente stato di ebbrezza.
In primo grado il Tribunale accoglie le doglianze dell’attore, ravvisando nella sua condotta un concorso colposo. In appello invece viene esclusa la responsabilità del danneggiato.
La causa passa dunque sulle scrivanie dei giudici di legittimità.
L’errore di calcolo del giudice
Nel lungo e articolato ricorso del danneggiato, i primi due motivi sono esaminati congiuntamente, denunciando infatti entrambi l’erroneo computo dell’età del richiedente nella liquidazione del danno.
Per i giudici della Suprema Corte entrambi i motivi sono fondati. Il giudice di merito che commette un errore nel calcolo del danno, utilizzando un moltiplicatore sbagliato rispetto all’età della vittima, incorre infatti in error in iudicando, che non è emendabile con la procedura di correzione prevista dall’art. 287 c.p.c..
L’errore non consiste infatti in una inesatta applicazione delle regole matematiche. Bensì, ricade direttamente sull’individuazione dei dati numerici posti alla base del calcolo. Si traduce così in un vizio logico della motivazione. Impedisce di fatto la ricostruzione del ragionamento seguito dal giudice per giungere alla decisione.
Ne deriva, da quanto sopra, la nullità della sentenza nella parte relativa alla liquidazione del danno, per difetto del requisito di cui all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4.
In particolare, nella fattispecie ora in esame il giudice in appello non avrebbe applicato tali principi. Nel calcolare il danno biologico permanente che spetta al richiedente, infatti, ha usato un’età differente (20 invece di 19), nonostante tale data fosse ricavabile dall’intestazione della decisione.
Da questo errore ne è scaturita una liquidazione del danno errata, inferiore a quella che sarebbe spettata applicando il parametro anagrafico corretto. La sentenza di secondo grado è dunque nulla per error in iudicando.
La riduzione della capacità lavorativa
I motivi di ricorso dal terzo al quinto riguardano invece la parte relativa alla liquidazione del danno patrimoniale da riduzione della capacita lavorativa specifica, che sarebbe erronea poiché parametrata sull’invalidità del danno biologico (47%), anziché al 100%, stante la totale preclusione allo svolgimento di attività lavorativa futura nello spettacolo da parte del danneggiato.
Per i giudici della Suprema Corte, però, questi motivi sarebbero infondati. Viene infatti richiesta una rivalutazione dei dati fattuali e in particolare probatori. Tale giudizio rimane pur sempre nella piena discrezionalità del giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità.
La liquidazione del danno con concorso di colpa
Si ritiene invece fondato il sesto motivo di ricorso. La Corte d’Appello ha infatti disatteso il principio di diritto enunciato dalla Corte di legittimità secondo cui il
danno permanente da incapacità di guadagno non può essere liquidato in base ai coefficienti di capitalizzazione approvati con r.d. n. 1403 del 1922, i quali, a causa dell’innalzamento della durata media della vita e dell’abbassamento dei saggi di interesse, non garantiscono l’integrale ristoro del danno, e con esso il rispetto della regola di cui all’art. 1223 c.c.
Su tale punto la giurisprudenza ne ha indicati altri, tra cui il giudice di merito rimane libero di scegliere. Rimane ferma la necessità che siano aggiornati e indicati dal CSM, allegati agli Atti dell’Incontro di studio per i magistrati svoltosi a Trevi il 30 giugno-1° luglio 1989, Tabella B (in Nuovi orientamenti e nuovi criteri per la determinazione del danno, Quaderni del CSM, 1990, n. 41, pp. 127 e ss.).
Da ciò ne deriva che la sentenza impugnata deve essere cassata sul punto e rinviata alla Corte d’appello. I giudici territoriali riesamineranno il caso applicando il relativo principio di diritto e individuando come coefficiente di capitalizzazione del danno patrimoniale da incapacità lavorativa specifica quello riportato nei Quaderni del CSM, Tabella B, o altro criterio ritenuto parimenti congruo, sulla base delle indicazioni che precedono, con ogni conseguente effetto in ordine alle eventuali ulteriori componenti di determinazione del quantum risarcitorio.
Il concorso di colpa del danneggiato
Vi è poi un altro motivo di ricorso. Il ricorrente ritiene che la valutazione dei giudici in appello sarebbe erronea perché non avrebbe considerato il concorso di colpa del danneggiato nella misura del 20%, essendosi esposto volontariamente al rischio delle conseguenze negative derivanti dall’aver accettato il passaggio nonostante l’evidente stato di ebbrezza del conducente.
Per i giudici di legittimità, però, il motivo non merita accoglimento per tre ragioni.
In primo luogo, l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità ritiene che colui che denuncia il vizio di cui all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c. deve non solo indicare le norme di legge che ritiene violate, ma anche esaminarne il contenuto precettivo, confrontandolo con le affermazioni in diritto contenute nella decisione impugnata.
In secondo luogo, il motivo si sostanzia in una richiesta di rivalutazione del materiale probatorio che non è permessa in sede di legittimità.
In terzo luogo, tutte le censure svolte non colgono l’effettiva portata della ratio decidendi della sentenza. La Corte di appello ha infatti esaminato tutte le risultanze istruttorie e, sulla base anche degli esiti della consulenza tecnica d’ufficio, ha ritenuto non configurabile una responsabilità del danneggiato nella causazione del sinistro ex art. 1227, comma 1, c.c.. Ha così evidenziato come la compagnia assicurativa non avesse assolto al relativo onere probatorio sulla stessa gravante.
Si precisa inoltre che, come da orientamento prevalente, il fatto colposo del danneggiato che rileva ai fini dell’applicazione dell’art. 1227, comma 1, c.c., deve connettersi causalmente all’evento dannoso. Non può dunque quest’ultimo essere pretermesso nella ricostruzione della serie causale giuridicamente rilevante. Non può nemmeno collegarsi direttamente la condotta colposa del danneggiato con il danno da lui patito.
Ne deriva che non ogni esposizione a rischio da parte del danneggiato è idonea a determinarne un concorso giuridicamente rilevante, all’uopo occorrendo, al contrario, che tale condotta costituisca concreta concausa dell’evento dannoso.
La giurisprudenza di legittimità, in specifica relazione alla posizione del terzo trasportato, danneggiato da un sinistro, ha poi affermato, su di un piano più generale, che, quando quest’ultimo non partecipa attivamente alla sua causazione, non ne è configurabile alcuna responsabilità.
Nella fattispecie ora in esame, la Corte territoriale ha correttamente applicato tali principi, ritenendo sussistere in capo al danneggiato il diritto ad ottenere l’integrale risarcimento del danno, non essendo allo stesso ascrivibile alcuna colpa per il verificarsi dell’incidente.