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Home » Civile » Responsabilità » Caduta sul sagrato della Chiesa: chi paga il risarcimento danni?

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Caduta sul sagrato della Chiesa: chi paga il risarcimento danni?

Avv. Beatrice Bellato consulenzalegaleitalia.it Caduta sul sagrato della Chiesa: chi paga il risarcimento danni?
sagrato-chiesa
Avv. Beatrice Bellato

Il risarcimento per caduta sul sagrato della Chiesa – indice:

  • Il rapporto di custodia
  • La proprietà della chiesa
  • La responsabilità del danno
  • L’uso pubblico del bene
  • Il principio di diritto

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 5841/2019, si è trovata a dirimere una controversia inerente il risarcimento del danno cagionato da un bene destinato all’attività di culto, come le scalinate presenti sul sagrato di una Chiesa, stabilendo se il risarcimento stesso sia imputabile all’ente ecclesiastico o al Comune.

La soluzione? Per la Suprema Corte la responsabilità è della Diocesi, considerato che nessun onere di conservazione può essere imputato al Comune, anche se il bene è asservito ad un uso pubblico. A meno che il danneggiato non dimostri che l’ente territoriale goda di una detenzione o di un potere di fatto sulla res.

Indice:

  • 1 Il rapporto di custodia
  • 2 Proprietà o detenzione di fatto della chiesa
  • 3 Responsabilità del danno
  • 4 Uso pubblico del bene
  • 5 Principio di diritto

Il rapporto di custodia

Esemplificando la vicenda, soffermiamoci sugli aspetti di nostro maggiore interesse, rammentando come la questione da esaminare in maniera prioritaria, in via preliminare e assorbente, sia legata alla titolarità del rapporto di custodia da cui trae titolo la domanda di chiamata in responsabilità.

In merito, i giudici della Suprema Corte rammentano qui che deve essere condivisa la distinzione tra legittimazione al processo e titolarità della posizione soggettiva oggetto dell’azione e deve essere altrettanto condivisa l’affermazione secondo cui il problema della titolarità, non solo attiva ma anche passiva, della posizione soggettiva attiene al merito della decisione.

Dunque, “il fatto che la questione attenga al merito significa che rientra nel problema della fondatezza della domanda, della verifica della sussistenza del diritto fatto valere in giudizio, e che spetti all’attore allegarla e provarla, salvo il riconoscimento, o lo svolgimento di difese Incompatibili con la negazione della titolarità del rapporto da parte del convenuto”.

Peraltro, anche l’eventuale contumacia o tardiva costituzione o allegazione in merito alla carenza di titolarità, come lamentato da una parte, non potrebbero assumere valore di non contestazione o alterare la ripartizione degli oneri probatori.

Proprietà o detenzione di fatto della chiesa

I giudici della Suprema Corte cercano poi di far chiarezza sul riferimento alla l. n. 222/1985, che disciplina la successione dei beni tra diversi enti ecclesiastici, rammentando come questo richiamo non sia idoneo a dimostrare che la Diocesi sia proprietaria o detentrice di fatto del Duomo e delle sue pertinenze.

La Cassazione evidenzia infatti come questa normativa cui il ricorrente ha compiuto un richiamo contempla la possibilità di assegnazione di detti beni agli enti parrocchiali. Dunque, spetterebbe all’attore l’onere di dimostrazione in concreto del rapporto di fatto, ovvero una disponibilità giuridica e materiale, tra la convenuta in giudizio e la scalinata su cui si è verificato l’incidente.

Stando all’art. 2051 c.c. cui si rifanno gli Ermellini, d’altronde, “la responsabilità ex art. 2051 c.c., postula la sussistenza di un rapporto di custodia della cosa e una relazione di fatto tra un soggetto e la cosa stessa, tale da consentire il potere di controllarla, di eliminare le situazioni di pericolo che siano insorte e di escludere i terzi dal contatto con la cosa“.

Sancito ciò, e ribadito che l’onere della prova sul potere di controllo del bene incombeva a carico dell’attore, solamente dopo questa dimostrazione avrebbe potuto discutersi del nesso causale tra fatto ed evento lesivo.

Responsabilità del danno

Gli Ermellini si soffermano infine sul fatto che il ricorrente ha denunciato la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2051 c.c., anche in relazione all’art. 825 c.c., e art. 116 c.p.c., laddove i giudici di secondo grado hanno dubitato della responsabilità del Comune, quale proprietario dell’area limitrofa alla scalinata su cui è avvenuto l’incidente e, quindi, del fatto che il Comune era tenuto all’obbligo di manutenzione della stessa, potendo derivare pericolo per gli utenti dato l’uso pubblico generalizzato, a nulla rilevando l’obbligo di manutenzione incombente sul proprietario della scalinata.

Per i giudici della Suprema Corte però il motivo è infondato e non considera quanto affrontato correttamente dalla Corte d’Appello quanto al rapporto di custodia generato da un uso pubblico del bene – non equiparabile la scalinata di accesso al duomo a una strada privata determinante un diritto di uso pubblico (che può identificarsi nella protrazione dell’uso da tempo indeterminabile), e ciò al fine di indicare che anche il Comune convenuto non sia anch’esso “titolare passivo” della pretesa, in quanto non è stata dimostrata, anche in questo caso, la disponibilità giuridica o materiale della scalinata della cattedrale ai fini della affermazione di una responsabilità ex art. 2051 c.c..

Uso pubblico del bene

Ad ogni modo, in parziale correzione della motivazione della sentenza, gli Ermellini precisano come l’eventuale sussistenza di un uso pubblico della scalinata della chiesa, che potrebbe sussistere come nel caso di una strada privata lasciata al pubblico accesso, di per sé non può essere fondamento della responsabilità dell’ente territoriale in termini di omessa custodia.

I giudici della Suprema Corte sostengono come “l’uso pubblico sia in genere riferito al transito che può interessare una strada o un altro bene di proprietà privata e, in merito, è stato sancito che la semplice imposizione di un vincolo di uso pubblico su strada vicinale, pur permettendo alla collettività di esercitarvi il diritto di servitù di passaggio con le modalità consentite dalla conformazione della strada stessa, non altera il diritto di proprietà sulla medesima, che rimane privata”

Con conclusione di particolare interesse i giudici di Cassazione affermano però che anche l’uso pubblico di un bene, così a disposizione della collettività, eventualmente concorrente con la precipua destinazione dell’area stessa all’attività di culto, non è di per sé in grado di trasferire il potere di fatto sulla cosa (ovvero gli oneri di custodia) sull’ente territoriale preposto alla gestione e manutenzione delle adiacenti pubbliche vie.

Principio di diritto

Si afferma così il seguente principio di diritto:

La responsabilità da omessa custodia di un bene destinato all’attività di culto, anche se per consuetudine asservito a un uso pubblico, grava sul proprietario del bene e non sull’ente territoriale su cui insiste il bene, a meno che non sia dimostrata una detenzione o un potere di fatto dell’ente territoriale sulla cosa.

Avv. Bellato – responsabilità e risarcimento del danno

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