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Home » Civile » Responsabilità » Bancomat inaccessibile ai disabili: la banca deve porre fine alla condotta discriminatoria

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Bancomat inaccessibile ai disabili: la banca deve porre fine alla condotta discriminatoria

Avv. Beatrice Bellato consulenzalegaleitalia.it Bancomat inaccessibile ai disabili: la banca deve porre fine alla condotta discriminatoria
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Avv. Beatrice Bellato

Il bancomat inaccessibile – indice:

  • Il caso
  • La decisione
  • Eliminazione delle barriere

Con la sentenza 23 settembre 2016, n. 18762, la Corte di Cassazione, sez. III civile ha affermato che la situazione di inaccessibilità a luogo privato aperto al pubblico, dovuta alla presenza di una barriera architettonica, legittima la persona disabile a ricorrere, anche nei confronti di privati, alla tutela ex art. 3 della legge n. 67 del 2006. Con la pronuncia della Suprema Corte viene dunque riconosciuto il diritto del portatore di handicap a poter prelevare dallo sportello automatico bancario, dovendo così l’istituto di credito rimuovere le barriere architettoniche lesive nei confronti dei soggetti disabili.

Il caso: uno sportello bancario inaccessibile ad un disabile

Il ricorso in Cassazione è stato prodotto da un portatore di disabilità contro sentenza con il quale un Tribunale rigettava la propria domanda ai sensi della L. n. 67 del 2006, articolo 3, sulla tutela delle persone disabili vittime di discriminazioni, che al comma 2 stabilisce che “il ricorrente, al fine di dimostrare la sussistenza di un comportamento discriminatorio a proprio danno, può dedurre in giudizio elementi di fatto, in termini gravi, precisi e concordanti, che il giudice valuta nei limiti di cui all’articolo 2729, primo comma, del codice civile”.

Con il provvedimento del giudice, sancisce il comma 3, “oltre a provvedere, se richiesto, al risarcimento del danno, anche non patrimoniale, ordina la cessazione del comportamento, della condotta o dell’atto discriminatorio, ove ancora sussistente, e adotta ogni altro provvedimento idoneo, secondo le circostanze, a rimuovere gli effetti della discriminazione, compresa l’adozione, entro il termine fissato nel provvedimento stesso, di un piano di rimozione delle discriminazioni accertate”.

Nel caso di svolgimento del processo, il disabile aveva richiesto l’adeguamento alla normativa in materia di barriere architettoniche di uno sportello bancomat da lui utilizzato come correntista presso un’agenzia dell’istituto di credito, con domanda di condanna di quest’ultimo a cessare la condotta discriminatoria e “adottando ogni provvedimento idoneo a rimuovere gli effetti della discriminazione, ed a risarcire il danno, nonche’ di condanna alla pubblicazione del provvedimento”.

La decisione della Corte di Cassazione

Tra i motivi della decisione della Suprema Corte appare evidente il contrasto con l’approccio assunto dalla Corte di merito, che secondo la Cassazione non avrebbe considerato congruamente quanto previsto dalla l. 67/2006, che prevede “che sia assicurato ai disabili l’accesso alla scuola ed agli edifici pubblici” e anche “agli edifici aperti al pubblico, con l’eliminazione delle barriere architettoniche”. Trattandosi pur di un luogo privato (un edificio in cui ha sede la banca), ma aperto al pubblico, la fattispecie ricade pertanto nelle norme previste dal legislatore fin dall’epoca dell’installazione del bancomat.

In aggiunta a ciò, la Corte ricostruisce la normativa in vigore, esprimendone le linee guida di concreta applicazione, ribadendo che l’art. 24 (intitolato all’eliminazione o superamento delle barriere architettoniche”) della L. 5 febbraio 1992, n. 104 (“Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate”) preveda al comma 1 un riferimento a “tutte le opere edilizie riguardanti edifici pubblici e privati aperti al pubblico che sono suscettibili di limitare l’accessibilita’ e la visitabilità (…)”, e rammentando che la definizione di “barriere architettoniche” può essere ottenuta dal Decreto Ministeriale Lavori Pubblici 14 giugno 1989, n. 236.

Questo fornisce alcuni elementi utili per poter evadere dalle incomprensioni terminologiche, affermando che per barriere architettoniche si intendono “a) gli ostacoli fisici che sono fonte di disagio per la mobilita’ di chiunque ed in particolare di coloro che, per qualsiasi causa, hanno una capacita’ motoria ridotta o impedita in forma permanente o temporanea; b) gli ostacoli che limitano o impediscono a chiunque la comoda e sicura utilizzazione di parti, attrezzature o componenti; c) la mancanza di accorgimenti e segnalazioni che permettono l’orientamento e la riconoscibilita’ dei luoghi e delle fonti di pericolo per chiunque e in particolare per i non vedenti, per gli ipovedenti e per i sordi”.

L’eliminazione delle barriere architettoniche

La Cassazione ricorda poi che “anche in mancanza di norme regolamentari di dettaglio che dettino le caratteristiche tecniche di luoghi, spazi, parti, attrezzature o componenti di un edificio o di parti di questo, qualora l’accessibilità sia prevista dalle norme di legge su richiamate in favore delle persone con disabilità, questa dovrà comunque essere assicurata.

Si vuole, cioè, significare che -imposta dalla legge l’eliminazione delle barriere architettoniche– questo risultato dovrà comunque essere raggiunto nel caso concreto – ove si determini una situazione di discriminazione (…)- ed, in mancanza di apposite regole tecniche di natura regolamentare, non potrà che essere conseguito con accorgimenti di natura tecnica, sufficienti allo scopo, non previsti dalla normativa secondaria, ma nondimeno obbligatori in base alla fonte primaria”.

Ancora, i giudici della Suprema Corte ricordano come “la situazione oggetto di causa presenta la peculiarità che l’accesso al “bancomat” non è assimilabile ad un accesso ad un luogo o ad uno spazio di un edificio o di un’unità immobiliare, connotandosi piuttosto quale accesso ad un’attrezzatura, facente parte di un edificio privato, ma destinata a fornire un servizio al pubblico degli utenti (non solo dei correntisti della banca).

Quindi, non si tratta (solo) di garantire la possibilità di raggiungere l’apparecchio (nel caso di specie, garantita al (OMISSIS)), ma di assicurare l’utilizzabilità del “bancomat”, cioè l’accesso al corrispondente servizio bancario (essendo quella di “bancomat” la denominazione -costituente marchio registrato- di un servizio automatizzato che consente di effettuare operazioni bancarie mediante tessera magnetica personale – secondo la definizione contenuta in uno dei dizionari della lingua italiana più accreditati)”. Ulteriormente, né può diversamente argomentarsi solo perché l’apparecchio “bancomat” è stato installato dall’istituto di credito in un edificio preesistente, ma non ristrutturato nell’occasione”.

Avv. Bellato – responsabilità e risarcimento del danno

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