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Home » Penale » Patrimonio » Deturpamento e imbrattamento di cose altrui – una guida rapida

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Deturpamento e imbrattamento di cose altrui – una guida rapida

Avv. Beatrice Bellato consulenzalegaleitalia.it Deturpamento e imbrattamento di cose altrui – una guida rapida
deturpamento
Avv. Beatrice Bellato

Il deturpamento e imbrattamento cose altrui – indice

  • Cos’è il reato
  • L’oggetto giuridico
  • Le differenze con il danneggiamento

L’art. 639 c.p., rubricato Deturpamento e imbrattamento di cose altrui, introduce una previsione di copertura penale dinanzi alle condotte che ledono il decoro patrimonio mobiliare e immobiliare.

Ma come si configura questo reato? Quali sono le sanzioni ad esso ricollegate?

Cos’è il reato di deturpamento e imbrattamento di cose altrui

Il reato di Deturpamento e imbrattamento di cose altrui prevede che

chiunque, fuori dei casi preveduti dall’articolo 635, deturpa o imbratta cose mobili o immobili altrui, è punito, a querela della persona offesa, con la multa fino a centotre euro.

Il legislatore prevede altresì alcune particolari ipotesi di punibilità. Per esempio, nel caso in cui il fatto sia commesso su beni immobili o su mezzi di trasporto pubblici o privati, la pena applicata è quella della reclusione da uno a sei mesi o della multa da 300 a 1.000 euro.

Se invece il fatto è commesso su cose di interesse storico o artistico, allora la pena applicata è quella della reclusione da tre mesi a un anno e della multa da 1.000 a 3.000 euro. In questi casi, peraltro, si può procedere anche d’ufficio.

Nei casi di recidiva, inoltre, per le ipotesi di imbrattamento o danni ai beni immobili o ai mezzi di trasporto, si applica la pena della reclusione da tre mesi a due anni e la multa fino a 10.000 euro.

Infine, la legge prevede che attraverso la sentenza di condanna per la condotta di imbrattamento o deturpazione su beni immobili o mezzi di trasporto, il giudice possa disporre anche l’obbligo di ripristino e di ripulitura dei luoghi. Se ciò non è possibile, può disporre l’obbligo di sostenere le spese o rimborsare quelle sostenute, o se il condannato si oppone, la prestazione di attività non retribuita a favore della collettività, per un tempo determinato che non sia superiore alla durata della pena sospesa.

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L’oggetto giuridico della norma

Da quanto sopra è chiaro che il bene giuridico che il legislatore vuole tutelare con tale norma sia il patrimonio. Che, in tale ambito, deve essere inteso come complesso di beni mobili e beni immobili. L’intenzione è dunque proteggere, mediante una previsione di natura penale, la proprietà, evitando deterioramento della situazione patrimoniale del soggetto passivo, mediante le azioni di deturpamento o di imbrattamento della cosa.

È evidente – torneremo sul tema in uno specifico approfondimento – la relazione con l’art. 635 c.p.. Tale integrazione si esplica, in misura palese, con la necessità di tutelare quelle condotte che pur determinando dei danni, non arrivano alla distruzione del patrimonio mobiliare o immobiliare del soggetto passivo, fino da renderlo inservibile.

Insomma, la differenza principale tra il reato in oggetto e quello ex art. 635 c.p. è la reversibilità dell’imbrattamento e del deturpamento.

L’esempio più lampante è quello del soggetto attivo che imbratta un muro di un condominio con delle scritte. In questo caso ci troviamo dinanzi al reato di cui al presente approfondimento, considerato che se le scritte sono facilmente rimovibili non possono contribuire a configurare il reato di danneggiamento ex art. 635 c.p.

In altre parole, ci troviamo dinanzi al reato di danneggiamento ex art. 635 c.p. solamente se si verifica un danno che non sia facilmente eliminabile, e sia dunque potenzialmente permanente. In tutti i casi più “lievi”, ci troviamo invece dinanzi a un reato di deturpamento e imbrattamento delle cose.

Le differenze con il danneggiamento

Sebbene già trattato in misura ampia, può essere di utilità tornare ancora una volta sul tema delle differenze tra il reato di deturpamento e imbrattamento e il reato di danneggiamento. Per far ciò, citiamo la nota sentenza Cass. pen. n. 22370/2002, una delle più radicate valutazioni giurisprudenziali per questo ambito.

All’epoca, infatti, i giudici della Suprema Corte contribuirono a dirimere ogni potenziale confusione sancendo, come massima, che il reato di danneggiamento ex art. 635 c.p. si distingue sotto il profilo del deterioramento da quello del deturpamento o imbrattamento di cui all’art. 639 c.p. dal fatto che mentre il primo produce una modificazione della cosa altrui che ne diminuisce il valore in modo apprezzabile o ne impedisce anche parzialmente l’uso, dando luogo alla necessità di un intervento ripristinatorio dell’essenza e della funzionalità della cosa stessa, il secondo produce solamente un’alterazione temporanea e superficiale della cosa.

Dunque, solamente nel secondo caso, ex art. 639 c.p., l’aspetto originario del bene, qualsiasi sia la spesa da affrontare, sarà facilmente reintegrabile.

Nella fattispecie oggetto della pronuncia giurisprudenziale, rileviamo ad onor di completezza, i giudici della Cassazione ritennero che lo sfregio della carrozzeria di un’autovettura, con l’uso di una chiave, costituisse non una semplice alterazione estetica, rimuovibile con una ripulitura. Viene invece considerata una lesione non temporanea e non superficiale dell’integrità del veicolo. In quanto, in buona sostanza, idonea a diminuire la protezione dello stesso da fenomeni atmosferici e di ossidazione.

Avv. Filippo Martini – diritto penale

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