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Home » Civile » Condominio » Condominio, responsabilità in caso di caduta su scale bagnate

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Condominio, responsabilità in caso di caduta su scale bagnate

Avv. Beatrice Bellato consulenzalegaleitalia.it Condominio, responsabilità in caso di caduta su scale bagnate
scale-condominio
Avv. Beatrice Bellato

I danni fisici per caduta su scale bagnate in condominio – indice:

  • I fatti
  • La responsabilità del condominio
  • Il caso furtuito
  • Le conclusioni

La Corte di Cassazione, terza sezione civile, ha stabilito con sentenza n. 23727/2016 che nelle ipotesi di caduta dalle scale del palazzo che determini lesioni, la responsabilità ricade ex art. 2051 c.c. sia sull’amministratore in carica che sul condominio. In questo modo la Suprema Corte fornisce ragione a una donna che appena uscita dalla propria abitazione, scivolava sulle scale bagnate a causa di pulizie ordinarie dello stabile.

A sua volta, la donna aveva chiamato ai danni sia l’amministratore condominiale, nella sua qualità di custode, che il condominio ex art. 2043 c.c. La domanda, rigettata in tribunale, ha poi visto accoglimento in appello. La Cassazione, sposando le tesi dell’appello, contribuisce a delineare alcuni interessanti profili di responsabilità che cerchiamo di condividere nelle righe che seguono.

I fatti: danni fisici per caduta su scale bagnate in condominio

La Corte ricostruisce i fatti partendo dall’atto di citazione del 4 maggio 2001, con il quale una donna esponeva di aver subito danni fisici scivolando, mente usciva dalla propria abitazione, sulle scale condominiali bagnate perché oggetto di pulizia. La donna non conosceva l’impresa delle pulizie, e ha inoltrato domanda di risarcimento dei danni all’amministratore di condominio, nella sua qualità di custode, e al condominio ex art. 2043, c.c.

Il tribunale di Padova tuttavia rigettava la domanda di risarcimento, rilevando che “custode era il condominio e non il suo amministratore in proprio, e che, nel resto, difettava la dimostrazione del nesso causale relativamente alla domanda spiegata a titolo aquiliano generale, con conseguenti oneri probatori“.

Tuttavia, la Corte di Appello riformava la decisione del tribunale, dichiarando invece la responsabilità ex art. 2051, c.c. sia dell’amministratore che del condominio, “sull’assunto conclusivo della pericolosità della cosa custodita anche se innescata da un agente esterno”.

Dinanzi a tale decisione, il condominio e l’amministratore dello stabile proponevano ricorso per Cassazione.

I motivi della responsabilità del condominio per la caduta

La Corte espone le sue valutazioni distinguendo i singoli motivi di ricorso. Con il primo, in particolare, viene dedotta la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2051, c.c., in relazione alla “mancata verifica del nesso di causalità tra danno e cosa presuntamente pericolosa”: il ruolo causale autonomo dell’agente esterno, nel caso in parola l’acqua sulle scale, non riferibile al condominio, sarebbe stato degradato erroneamente all’irrilevanza secondo le parti soccombenti.

Con il secondo motivo viene invece dedotta la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2051, c.c., “sotto il profilo della mancata considerazione quale fortuito della presenza dell’acqua sulle scale, e, ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c., l’omesso esame dei motivi della presenza della suddetta acqua, che avrebbero dovuto indurre a ritenerla estranea alla custodia posta a base della responsabilità”.

Con il terzo motivo è dedotta la nullità della sentenza “avendo violato l’art. 112, c.p.c., costituendo alla domanda formulata ex art. 2043, c.c., l’autonoma figura di responsabilità ex art. 2051, c.c., e, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 2051, c.c., per i medesimi motivi”.

Ancora, con il quarto motivo è dedotta la violazione dell’art. 132, c.p.c., “ovvero la nullità della sentenza, ex art. 360, n. 4, c.p.c., in relazione agli artt. 132 e 156, c.p.c., per non avere, la sentenza della corte di merito, riportato le conclusioni di primo grado richiamate in appello”.

Con il quinto motivo è inoltre dedotta “la violazione dell’art. 346, c.p.c., per essere stato ritenuto necessario l’appello incidentale riguardo alle domande di manleva e garanzia pertanto dichiarate inammissibili”. Infine, con il sesto motivo è dedotto “l’omesso esame delle domande di manleva e garanzia affermandone senza motivazione la tardività”.

Le valutazioni della Corte sul “caso fortuito”

Con maggiore ordine, la Corte sceglie di esaminare i primi tre motivi congiuntamente, definendoli infondati e ricordando anzitutto che la qualificazione della domanda “è da ritenere corretta poiché quando la parte agisce prospettando condotte astrattamente compatibili con la fattispecie prevista dall’art. 2051 c.c., anche la loro riconduzione, operata dal giudice di primo grado, all’art. 2043 c.c., non vincola il giudice d’appello nel potere, suo proprio, di riqualificazione giuridica dei fatti costitutivi della pretesa azionata, così come quindi non lo vincola, logicamente, il riferimento formale, della parte, all’art. 2043, c.c.”.

La Suprema Corte rileva altresì che il caso fortuito idoneo ad escludere la responsabilità oggettiva ex art. 2051 c.c. può essere essere costituito anche dalla condotta del terzo (in questo caso, l’impresa delle pulizie) quando essa, rivelandosi come autonoma, eccezionale, imprevedibile ed inevitabile, risulti dotata di efficacia causale esclusiva nella produzione dell’evento lesivo. “Nel caso, la decisione della corte territoriale è corretta in quanto non risulta provato dal soggetto onerato, nelle sedi di merito, un ruolo causale dell’acqua sulle scale qualificabile quale imprevedibile, inevitabile ed esclusivo, ossia eccezionalmente assorbente e avulso dal normale utilizzo della cosa in custodia”.

Le conclusioni della Cassazione

La Corte procede infine ad esaminare gli altri tre motivi di ricorso, congiuntamente, dichiarando infondati il quarto e il sesto, e fondato il quinto. “La carenza nella compiuta indicazione delle conclusioni, ad opera della sentenza qui gravata, risulta irrilevante quando queste siano state prese in considerazione come emerge dall’esame della parte motiva” – afferma la Corte, precisando poi che, per il resto, diverse volte la stessa Cassazione ha precisato come in caso di rigetto della domanda principale e conseguente omessa pronuncia sulla domanda di garanzia condizionata all’accoglimento, la devoluzione di quest’ultima al giudice investito dell’appello sulla domanda principale non richiede – come invece ritenuto dalla corte territoriale – la proposizione di appello incidentale essendo sufficiente la riproposizione della domanda ex art. 346 c.p.c. .

Avv. Bellato – responsabilità e risarcimento del danno

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