Il diritto di accesso alla documentazione bancaria da parte di una società – guida rapida
- Il caso concreto: lo scontro tra una società e la banca
- I motivi del ricorso
- La posizione della Suprema Corte: il diritto alla documentazione bancaria come diritto sostanziale autonomo
- L’errore interpretativo della Corte d’Appello: trasformare un ‘dare’ in un ‘facere’
- L’evoluzione tecnologica e il suo impatto sull’interpretazione della norma
- Il diritto alla documentazione e l’irrilevanza dell’anticipo delle spese
- Gli strumenti processuali per tutelare il diritto ex art. 119 TUB: legittimità del ricorso per decreto ingiuntivo
- Il nostro commento
La recente ordinanza n. 8173 del 2025 della Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione, pubblicata il 28 marzo 2025, rappresenta un’importante pronuncia in materia di diritto bancario, in particolare sul tema del diritto del cliente di ottenere copia della documentazione bancaria relativa al rapporto contrattuale intrattenuto con l’istituto di credito, ai sensi dell’art. 119 del Testo Unico Bancario (TUB).
Il caso concreto: lo scontro tra una società e la banca sulla documentazione
La vicenda processuale oggetto della sentenza in esame prende le mosse dal ricorso n. 4043/2021 proposto da una società a responsabilità limitata contro una banca avverso la sentenza n. 3204/2020 della Corte d’Appello di Roma, depositata il 3 luglio 2020.
La controversia ha origine da una precedente sentenza del Tribunale di Velletri (n. 1818/2015 del 5 giugno 2015) che, in accoglimento dell’opposizione proposta dalla banca, aveva revocato un decreto ingiuntivo. Il decreto imponeva alla banca la consegna in favore della società della copia della documentazione relativa a tutte le operazioni intercorse tra le parti nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2005 e il 20 maggio 2008.
La Corte d’Appello di Roma aveva respinto l’appello proposto dalla società, affermando che il diritto riconosciuto dall’art. 119 TUB non poteva essere esercitato mediante il procedimento per decreto ingiuntivo. Secondo la Corte territoriale, questo perché la documentazione in questione avrebbe dovuto essere preventivamente formata dalla banca (e non semplicemente consegnata) e perché, nel caso specifico, non ricorreva il requisito dell’esigibilità, essendosi la società appellante rifiutata di anticipare le spese di estrazione delle copie richieste.
Contro questa decisione, la società ha proposto ricorso in Cassazione, articolando due motivi principali di impugnazione.
I motivi del ricorso
Il ricorso proposto dalla società si fonda su due motivi principali.
Con il primo motivo, la società ricorrente ha denunciato la violazione e falsa applicazione degli articoli 119 TUB e 633 c.p.c., censurando la decisione impugnata nella parte in cui aveva escluso la possibilità di esercitare il diritto di cui all’art. 119 TUB tramite ricorso per decreto ingiuntivo. Secondo la ricorrente, nella fattispecie in esame prevaleva il profilo della mera consegna, rispetto alla quale la formazione della documentazione rappresentava un aspetto di mera attuazione pratica.
Con il secondo motivo, la società ha contestato la violazione e falsa applicazione degli articoli 633 e 638 c.p.c. e 1186 c.c., argomentando che la Corte d’Appello avrebbe erroneamente escluso la sussistenza del requisito dell’esigibilità. Secondo la ricorrente, tale requisito si sarebbe invece integrato nel momento in cui la banca aveva rifiutato la consegna della documentazione richiesta.
La posizione della Suprema Corte: il diritto alla documentazione bancaria come diritto sostanziale autonomo
La Corte di Cassazione, nell’accogliere il ricorso, ha fornito un’approfondita analisi della natura giuridica del diritto alla consegna della documentazione bancaria previsto dall’art. 119 TUB.
Innanzitutto, la Suprema Corte ha rammentato il proprio consolidato orientamento secondo cui “il diritto del cliente di ottenere dall’istituto bancario la consegna di copia della documentazione relativa alle operazioni dell’ultimo decennio, previsto dal quarto comma dell’art. 119 TUB, si configura come vero e proprio diritto sostanziale la cui tutela è riconosciuta come situazione giuridica finale e non strumentale”.
Il diritto trova il proprio riferimento sistematico generale negli obblighi integrativi strumentali di cui agli articoli 1175, 1374 e 1375 c.c., riconducibili agli obblighi di solidarietà di cui all’art. 2 della Costituzione. Si tratta, quindi, di un diritto che si applica anche a situazioni soggettive che, pur derivanti da un rapporto concluso, non hanno ancora esaurito nel tempo i loro effetti.
La Corte ha sottolineato come, in quanto diritto sostanziale autonomo, esso possa trovare autonoma tutela in sede giurisdizionale, attraverso una specifica domanda volta a conseguire la condanna all’adempimento dell’obbligo legale, indipendentemente dalla finalità posta alla base della domanda stessa.
L’errore interpretativo della Corte d’Appello: trasformare un ‘dare’ in un ‘facere’
La Suprema Corte ha individuato un errore fondamentale nella decisione della Corte d’Appello di Roma: l’aver trasformato un diritto di ottenere la consegna documentale (un ‘dare’) in un obbligo di ‘formare’ la documentazione (un ‘facere’).
La Cassazione ha evidenziato che l’oggetto della domanda monitoria fondata sull’art. 119 TUB è costituito dal diritto di ottenere la consegna documentale, diritto che si connota nei termini non di un ‘facere’ bensì di un ‘dare’. Questo chiarimento è cruciale poiché l’obbligazione inadempiuta dall’istituto di credito, della quale si chiede tutela in sede giurisdizionale, è proprio quella di consegna.
L’affermazione contenuta nella decisione impugnata, secondo cui “l’oggetto materiale del diritto, vale a dire la copia della documentazione, non preesiste al suo esercizio ed implica la necessità di ‘formare’ la copia della documentazione affinché essa sia, poi, consegnata all’avente diritto”, viene criticata dalla Cassazione in quanto snatura radicalmente il contenuto della previsione di legge. Tale interpretazione trasforma un diritto alla consegna – univocamente configurato dal legislatore – in un diritto ad ottenere dall’istituto di credito un ‘facere’, senza considerare che, rispetto all’obbligo legale di consegna, il profilo della formazione della copia ha carattere meramente secondario, strumentale e, in definitiva, eventuale.
L’evoluzione tecnologica e il suo impatto sull’interpretazione della norma
Un aspetto particolarmente interessante della sentenza riguarda il riconoscimento dell’impatto dell’evoluzione tecnologica sull’interpretazione dell’art. 119 TUB.
La Corte osserva che il diritto del cliente investe la “documentazione”, ovvero un supporto che contenga i dati relativi alle operazioni poste in essere nel corso del rapporto con la banca. In un contesto moderno, tale supporto potrebbe essere meramente informatico, così come totalmente informatizzato risulta ormai ogni sistema di registrazione operante presso gli istituti di credito. Ormai, lo stesso “originale” – e non la sola “copia” – delle registrazioni delle movimentazioni è dematerializzato e allocato su supporto informatizzato.
Una interpretazione adeguata alla realtà dei tempi, quindi, impone di intendere l’art. 119 TUB come espressione di un diritto al “dato”, qualunque sia il supporto sul quale lo stesso viene poi ad essere incorporato. Lo scenario della “formazione della copia”, sul quale la Corte territoriale aveva basato le proprie considerazioni, non può trasformare l’adempimento dell’obbligazione ex art. 119 TUB in un’ipotesi di ‘facere’, esclusa dall’ambito di operatività del procedimento per decreto ingiuntivo.
Il diritto alla documentazione e l’irrilevanza dell’anticipo delle spese
Un altro punto fondamentale affrontato dalla Cassazione riguarda la questione dell’anticipo delle spese di produzione della documentazione.
La Corte d’Appello aveva ritenuto che la pretesa azionata in monitorio non fosse assistita dal requisito dell’esigibilità a causa del rifiuto della ricorrente di corrispondere la somma di € 82,56 richiesta dalla banca quale “costo delle operazioni di formazione della copia della documentazione”.
Sul punto, la Suprema Corte ha osservato che l’art. 119, quarto comma, TUB si limita a prevedere, al proprio ultimo comma, che “al cliente possono essere addebitati solo i costi di produzione di tale documentazione”. Tale previsione normativa evidenzia che il legislatore aveva ben presente il profilo della “produzione” della copia senza tuttavia configurare il diritto del cliente nei termini di un ‘facere’.
La norma non subordina in alcun modo il diritto del cliente alla consegna della documentazione alla rifusione di quelli che sono meri oneri di produzione e, men che meno, pone tali oneri in rapporto di sinallagmaticità con la consegna stessa della documentazione. Si deve quindi concludere che l’esercizio del diritto alla consegna della copia opera indipendentemente dalla rifusione degli oneri di produzione che, peraltro, l’istituto di credito, in pendenza di rapporto di conto corrente, ben può addebitare direttamente sul conto medesimo.
Un’interpretazione come quella fatta propria dalla Corte d’Appello di Roma verrebbe invece a determinare indirettamente un’inammissibile limitazione nell’esercizio di un diritto che, come rammentato poc’anzi, risulta riconducibile agli obblighi di solidarietà di cui all’art. 2 Cost., e quindi ad un sistema di tutela del contraente che è svincolato da una mera impostazione di sinallagmaticità.
Gli strumenti processuali per tutelare il diritto ex art. 119 TUB: legittimità del ricorso per decreto ingiuntivo
La sentenza affronta infine la questione relativa agli strumenti processuali utilizzabili per la tutela del diritto previsto dall’art. 119 TUB, chiarendo che tra questi rientra anche il procedimento per decreto ingiuntivo, in presenza dei presupposti stabiliti dal codice di rito.
La Corte ribadisce il principio secondo cui il diritto alla consegna di copia della documentazione regolato dall’art. 119 TUB, in quanto diritto sostanziale tutelabile in via pienamente autonoma in sede giurisdizionale, può essere esercitato anche mediante lo strumento processuale del ricorso per decreto ingiuntivo. Questo è possibile indipendentemente dalle modalità che si rendono necessarie per la realizzazione di tale copia.
Si deve quindi ritenere che la facoltà dell’istituto di credito di addebitare al cliente i costi di produzione della copia della documentazione ex art. 119 TUB non costituisca elemento condizionante l’esercizio pieno del diritto previsto dalla norma medesima e non valga, quindi, a rendere il diritto medesimo come inesigibile ai fini del suo esercizio in sede giurisdizionale.
Alla luce delle considerazioni esposte, la Corte ha accolto il ricorso, cassando l’impugnata sentenza con rinvio alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione. Quest’ultima, nel decidere conformandosi ai principi enunciati, dovrà altresì regolare le spese anche del giudizio di legittimità.
Il nostro commento
La sentenza n. 8173/2025 si inserisce in un percorso giurisprudenziale ormai consolidato che riconosce nel diritto alla documentazione bancaria previsto dall’art. 119 TUB un vero e proprio diritto sostanziale autonomamente tutelabile, e non una mera pretesa strumentale o accessoria.
L’ordinanza in esame segna però un ulteriore passo avanti, chiarendo alcuni aspetti fondamentali che potrebbero avere significative ripercussioni pratiche:
- Il diritto alla documentazione bancaria è configurato come diritto ad un ‘dare’ (la consegna della documentazione) e non ad un ‘facere’ (la formazione della documentazione).
- L’evoluzione tecnologica impone di reinterpretare la norma come diritto al “dato”, indipendentemente dal supporto sul quale esso viene incorporato.
- L’esercizio del diritto non può essere subordinato all’anticipo delle spese di produzione della documentazione, che possono essere addebitate sul conto corrente ma non costituiscono un elemento condizionante in un rapporto di sinallagmaticità.
- Il diritto può essere tutelato anche mediante ricorso per decreto ingiuntivo, in presenza dei relativi presupposti procedurali.
Questi principi rappresentano un importante tassello nell’evoluzione del diritto bancario italiano, sempre più orientato verso la tutela sostanziale del cliente nei confronti degli istituti di credito. La Suprema Corte ribadisce infatti l’importanza degli obblighi di trasparenza e collaborazione gravanti sulle banche, ancorandoli ai principi costituzionali di solidarietà sociale.
Particolarmente significativo è il riconoscimento dell’impatto delle nuove tecnologie sul rapporto banca-cliente: il passaggio dai documenti cartacei ai dati informatici non può essere utilizzato come pretesto per limitare o rendere più oneroso l’esercizio di diritti fondamentali del cliente.