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Home » Civile » Infortuni » Liquidazione dei danni non patrimoniali ai congiunti del macroleso – guida rapida

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Liquidazione dei danni non patrimoniali ai congiunti del macroleso – guida rapida

Avv. Beatrice Bellato consulenzalegaleitalia.it Liquidazione dei danni non patrimoniali ai congiunti del macroleso – guida rapida
danni non patrimoniali
Avv. Beatrice Bellato

Liquidazione dei danni non patrimoniali ai congiunti del macroleso – guida rapida

    • I fatti
    • Il giudizio in appello
    • La decisione
    • L’applicazione della presunzione di pari responsabilità ex art. 2054 c.c.
    • Il riconoscimento del danno patrimoniale
    • Il riconoscimento dei danni non patrimoniali
    • Il riconoscimento dei danni non patrimoniale in favore dei congiunti
    • La rideterminazione del danno non patrimoniale spettante ai congiunti

    Con ordinanza n. 13540 del 17 maggio 2023 la Sezione Terza civile della Corte di Cassazione ha affermato che al fine di liquidare il danno non patrimoniale che spetta ai congiunti del soggetto macroleso, il giudice deve fare riferimento a tabelle che prevedano in maniera specifica idonee modalità di quantificazione del danno, come quelle predisposte dal tribunale di Roma, e non quelle del Tribunale di Milano.

    I fatti

    Nel 2010 una moto in marcia su una strada extraurbana veniva violentemente urtata da un’auto, assicurata con una società estera, proveniente da un’opposta direzione di marcia e svoltante per immettersi nell’area di un parcheggio. Il conducente della moto riportava delle lesioni personali molto  gravi, concretizzatesi poi in postumi permanenti, quali danni agli arti inferiori tali da precludergli la deambulazione autonoma senza l’uso di stampelle o altri supporti, e ancora vistose cicatrici, problemi di decubito, disturbi post traumatici da stress a carattere cronico.

    I congiunti del motociclista, conviventi con lui al momento del sinistro, proponevano ricorso convenendo in giudizio il conducente e il proprietario del veicolo investitore e l’UCI (Ufficio Centrale Italiano) responsabile ex lege (essendo il veicolo investitore assicurato per la RCA con una società straniera).

    Il tribunale adito, sulla base del verbale dei carabinieri e della deposizione di un teste, nonché del punto di impatto tra i veicoli, accertava che il sinistro si era verificato per colpa esclusiva della conducente dell’autovettura. Ritenuta poi un’invalidità permanente nella misura del 63% da parte del motociclista, condannava i convenuti in solido al risarcimento dei danni non patrimoniali in favore di tutti gli attori. Veniva invece rigettata la domanda di risarcimento del danno patrimoniale, proposta per la perdita della possibilità di svolgere lavoro autonomo occasionale, ritenendo tale fonte di reddito non cumulabile con il reddito da lavoro dipendente percepito dal danneggiato.

    Il giudizio in appello

    La Corte d’appello, in sintesi:

    • accoglieva in parte l’appello principale della compagnia di assicurazioni, affermando che nonostante la molteplicità di elementi raccolti, sia in primo grado che in appello, fosse impossibile ricostruire l’esatta dinamica del sinistro. Da qui ricavava la necessità di applicare la presunzione di corresponsabilità dettata dall’art. 2054, secondo comma, c.c., riconoscendo il concorso di colpa di entrambi i conducenti nella causazione del sinistro. Veniva così ridotto l’importo spettante a titolo di danno non patrimoniale;
    • rigettava l’appello principale dell’UCI laddove lamentava l’applicazione, ai fini della liquidazione del danno non patrimoniale, delle tabelle in uso presso il Tribunale di Roma anziché quelle in uso presso il Tribunale di Milano;
    • rigettava l’appello dell’UCI in relazione alla richiesta di decurtazione, dall’importo liquidato a titolo di danno patrimoniale, di quanto il avrebbe percepito dall’INPS, ritenendo tardiva la produzione documentale relativa agli introiti percepiti dall’INPS, prodotta solo unitamente alla comparsa conclusionale;
    • rigettava l’appello incidentale sul mancato riconoscimento del danno esistenziale, affermando che di esso si fosse tenuto adeguato conto all’interno della personalizzazione del danno, con un elevato aumento del valore tabellare, ed alla percentuale di invalidità permanente complessiva, che riteneva congruamente fissata, sulle base delle risultanze medico-legali, al 63%;
    • negava il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale in favore dei genitori della vittima principale, del nipote nascituro al momento del sinistro, e della figlia, benché la stessa fosse convivente al momento del sinistro (affermando che la giovane, in ragione della gravidanza in atto, era ormai proiettata verso la sua nuova esperienza di madre e questo le avrebbe evitato di soffrire in misura apprezzabile per l’infortunio del padre).

    La decisione

    Saltando il commento sulle eccezioni preliminari, qui di poco interesse, arriviamo subito alla valutazione del ricorso principale delle vittime.

    Di fatti, con il primo motivo di ricorso i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione dell’art. 2054, secondo comma, c.c., con esistenza di una motivazione meramente apparente e di un irriducibile contrasto logico all’interno della motivazione, nonché la violazione degli artt. 116 c.p.c. e 2729 c.c. in ordine alla ricostruzione della dinamica dell’incidente, esitata con l’applicazione del criterio – residuale – del concorso di colpa pur in presenza di una accertata violazione dell’obbligo di dare la precedenza in capo alla conducente dell’autovettura, sanzionata dai carabinieri intervenuti subito dopo il sinistro per violazione dell’art. 141 c.d.s.

    Così facendo, i congiunti della vittima segnalano che la Corte d’appello aveva dapprima riportato i numerosi elementi e i rilievi obiettivi a sua disposizione, come le deposizioni testimoniali, le ricostruzioni della dinamica dei fatti come emergenti dal verbale dei carabinieri o ancora i rilievi obiettivi eseguiti dagli stessi sul luogo, subito dopo l’impatto.

    Quindi, il giudice d’appello concludeva che, nonostante questa vasta gamma di elementi probatori a disposizione, non fosse possibile stabilire il punto d’urto sulla strada e che non potesse escludersi una dinamica completamente diversa rispetto a quella accertata in primo grado. Dall’impossibilità di ricostruire la dinamica con assoluta certezza, la Corte d’appello desumeva che: “si impone la presunzione di responsabilità sancita dall’art. 2054 c.c.”.

    L’applicazione della presunzione di pari responsabilità ex art. 2054 c.c.

    Per la Suprema Corte il primo motivo è fondato. Di fatti, nell’ipotesi di scontro tra veicoli, l’applicazione della presunzione di pari responsabilità di cui all’art. 2054, secondo comma c.c. è una regola sussidiaria, legittimamente applicabile per ripartire le responsabilità non solo nei casi in cui sia certo l’atto che ha causato il sinistro ma sia incerto il grado di colpa attribuibile ai diversi conducenti, ma anche quando non sia possibile accertare il comportamento specifico che ha causato il danno, con la conseguenza che, in tutti i casi in cui sia ignoto l’atto generatore del sinistro, causa presunta dell’evento devono ritenersi in eguale misura i comportamenti di entrambi i conducenti coinvolti nello scontro, anche se solo uno di essi abbia riportato danni.

    Ciò premesso, per superare tale presunzione si può ricorrere a una prova liberatoria che può essere acquisita anche indirettamente tramite l’accertamento del collegamento eziologico esclusivo o assorbente dell’evento dannoso col comportamento dell’altro conducente. Al contrario, l’accertamento della colpa esclusiva di uno dei conducenti e della regolare condotta di guida dell’altro, libera quest’ultimo dalla presunzione di concorrente responsabilità fissata in via sussidiaria dall’art. 2054, comma 2 c.c.

    Nella fattispecie in esame, l’affermazione della Corte d’appello “secondo la quale non era certo che lo svolgimento dei fatti fosse stato in effetti quello ricostruito dal primo giudice (…)” esplicita un mero convincimento interiore che ipotizza, “senza alcun riferimento ai fatti di causa, una alternativa ed ipotetica ricostruzione della dinamica di carattere meramente declamatorio, senza confrontarsi con la motivazione della sentenza di primo grado né con le risultanze istruttorie acquisite agli atti”.

    Le opinioni della Corte

    In presenza di una serie di elementi obiettivi entrati a far parte del giudizio, non è consentito applicare la presunzione di pari responsabilità se non a mezzo di una motivata ricostruzione della dinamica ancorata alle risultanze istruttorie, delle quali ben può essere fornita una diversa lettura e riconosciuta una diversa rilevanza all’interno della formazione del convincimento, ma dalle quali non si può completamente prescindere per formulare una diversa ricostruzione meramente ipotetica e, sulla base di quella, applicare la presunzione di corresponsabilità a carico dei due soggetti coinvolti nello scontro.

    Il riconoscimento del danno patrimoniale

    Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano l’omessa pronuncia sul secondo motivo di appello incidentale del ricorrente e l’assenza di motivazione sul punto, in rapporto al mancato riconoscimento del danno patrimoniale conseguente all’impossibilità di continuare a svolgere lavoro autonomo occasionale, e all’erronea applicazione del divieto di cumulo delle retribuzioni tra lavoro dipendente e lavoro autonomo.

    Il ricorrente ricorda di aver sempre svolto dei lavori manuali per integrare il proprio reddito (è una guardia giurata), con introiti che però non emergono dalla dichiarazione dei redditi.

    Per la Corte di Cassazione il motivo è infondato.

    Giò il tribunale aveva rigettato la domanda affermando che i proventi di essa non fossero compatibili con lo svolgimento da parte della vittima di un lavoro subordinato stabile. La Corte d’appello ha poi ritenuto che, quand’anche si volesse riconoscere che la vittima potesse svolgere nel tempo libero un lavoro autonomo occasionale, consentito dalla legge per importi non superiori ad euro 5.000 annui, non risulta comunque fornita una prova sufficiente – né alcuna evidenza fiscale – atta ad individuare una apprezzabile e quantificabile perdita economica.

    Il riconoscimento dei danni non patrimoniali

    Con il terzo motivo si lamenta poi l’erronea e falsa applicazione degli artt. 2043, 2059, 1223 e 1226 c.c. in quanto i danni non patrimoniali subiti dalla vittima principale non sarebbero stati completamente risarciti e lamentano l’inadeguata personalizzazione del danno in suo favore.

    In particolare, il ricorso sottolinea come prima dell’incidente la vittima fosse una persona sportiva e attiva, che trovava nell’attività fisica e nello sport la sua realizzazione. Svolgeva abitualmente una serie di attività che gli sono ora interamente precluse, a soli 41 anni. Il ricorrente lamenta che già in primo grado non avesse fruito di una adeguata personalizzazione, e che non gli fosse stato risarcito il danno esistenziale.

    Riferisce ancora che il tribunale di prime cure avesse liquidato il danno non patrimoniale applicando le tabelle in uso presso il Tribunale di Roma, che non prevedono una liquidazione autonoma del danno morale soggettivo, ma riconoscono a titolo di danno morale soggettivo un incremento pari ad una percentuale del danno biologico. Infine, il ricorrente lamenta che la domanda sia stata ingiustamente rigettata, con la Corte d’appello che non ha liquidato nulla per danno esistenziale, non ha adeguatamente personalizzato l’importo liquidato per danno biologico, non gli ha riconosciuto il massimo come danno morale.

    Per la Suprema Corte, però, il terzo motivo è inammissibile,  poiché il ricorrente non evidenzia neppure efficacemente alcun errore di diritto nella sentenza impugnata.

    Danno esistenziale non autonomo dai danni non patrimoniali

    Per i giudici di Cassazione, il danno esistenziale non costituisce una categoria autonoma di danno non patrimoniale cui debba corrispondere una separata liquidazione qualora il risarcimento abbia avuto ad oggetto un danno biologico, del quale costituisce l’essenza, dinamico-relazionale, prevista dalla norma. Per quanto poi attiene il pregiudizio morale, benché non liquidato nella misura auspicata, di esso si è tenuto conto all’interno della liquidazione unitaria ma personalizzata del danno non patrimoniale.

    Il danno non patrimoniale subito è infatti stato liquidato facendo applicazione della tabelle del Tribunale di Roma e delle circostanze del caso concreto si è tenuto conto, dando il dovuto rilievo sia alla particolare sofferenza fisica causata dall’infortunio e dal suo lungo e doloroso decorso, sia alle limitazioni imposte alla vita personale del danneggiato, in quanto il giudice d’appello ha provveduto a personalizzare il danno, entro la “forbice” delineata dalle tabelle, ma con un aumento dei valori tabellari pari ben al 55%.

    Il riconoscimento dei danni non patrimoniali in favore dei congiunti

    Con il quarto motivo, i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 2059, 1223 e 1226 e 2729 c.c. in ragione del mancato riconoscimento del danno non patrimoniale in favore di alcuni congiunti (la figlia convivente, incinta al momento dell’incidente, il nipote nascituro, i genitori) e della insufficiente quantificazione del medesimo danno non patrimoniale in favore dei soli familiari ai quali è stato riconosciuto, il figlio e la moglie.

    Il quarto motivo viene accolto con alcune limitazioni.

    In particolare, i giudici della Suprema Corte affermano che deve essere tenuto in considerazione come nella fattispecie in esame oggetto della quantificazione non fosse il danno da morte del prossimo congiunto, e quindi da perdita del rapporto parentale, ma il danno che subiscono i congiunti in conseguenza delle lesioni – in questo caso gravissime- subite dalla vittima principale, tali da recare dolore e pena ai parenti, e da incidere pesantemente sullo svolgimento della vita quotidiana della intera famiglia.

    E’ oramai opinione giurisprudenziale consolidata quella secondo cui ai prossimi congiunti di una persona che abbia subito, a causa di fatto illecito, lesioni personali, può spettare anche il risarcimento del danno non patrimoniale concretamente accertato da lesione del rapporto parentale, in relazione ad una particolare situazione affettiva della vittima. Il danno in questi casi si traduce infatti in un patema d’animo e in uno sconvolgimento delle abitudini di vita del soggetto: si tratta di danno non accertabile con metodi scientifici e che può invece essere accertato in base a indizi e presunzioni che, anche da soli, se del caso, possono essere decisivi ai fini della sua configurabilità, in cui assume evidente rilievo il rapporto di stretta parentela esistente fra la vittima ed i suoi familiari.

    Danni non patrimoniali: i genitori

    In questi casi la vicenda è meramente di prova: il parente, secondo i principi generali – e dunque anche per via presuntiva – deve dimostrare la lesione leso dalla condizione del congiunto, per cui ha subito un danno non patrimoniale parentale.

    Sulla base di ciò, la sentenza avrebbe errato – per i giudici di legittimità – laddove ha negato tout court la risarcibilità del danno non patrimoniale in capo ai genitori, in quanto non conviventi, circostanza che non può incidere direttamente sulla permanenza dei legami affettivi. La mancata convivenza, per i genitori, può al più incidere sulla componente dinamico relazionale, ma non certo può eliminare la sofferenza morale pura.

    Danni non patrimoniali: la figlia

    Ugualmente, e con ancor più censurabile superficialità e noncuranza per gli Ermellini, ha errato la Corte d’appello laddove ha escluso che la figlia del motociclista, diciannovenne all’epoca dei fatti e convivente con la famiglia di origine, possa aver patito alcun pregiudizio non patrimoniale solo “perché incinta all’epoca dei fatti”.

    Per la Cassazione, la sentenza non fa corretta applicazione, anche in questo caso, dei principi sopra indicati, che indicano una presunzione di afflittività in favore dei prossimi congiunti, tanto più se, come in questo caso, conviventi.

  • Le considerazioni della Corte d’appello secondo le quali poi la ragazza, in quanto proiettata verso la sua futura esperienza di madre, non avrebbe sofferto più di tanto per il fatto dannoso, destinato invece necessariamente a proiettare la sua ombra sia sull’evento della nascita che sulla successiva organizzazione della vita familiare, cambiando il modo di vita, la distribuzione dei compiti, le attività della sua famiglia d’origine, e da offuscare la gioia e la condivisione familiare per il bambino in arrivo, appaiono totalmente inconsapevoli delle ripercussioni della mancanza del supporto di un genitore attivo, sul quale la ragazza sapeva di poter contare proprio in ragione della convivenza, nel difficile momento della nascita, così giovane, del primo figlio.

    Danni non patrimoniali: il nipote nascituro

    Diversa è la posizione del nipote nascituro, in rapporto al quale il motivo di ricorso deve essere rigettato. In relazione a quest’ultimo, infatti, al momento dell’incidente non sussiste una presunzione di afflittività conseguente alla necessaria riconfigurazione del rapporto stesso col nonno, fin dal suo sorgere, conseguente alle menomate condizioni fisiche di questi.

    L’esistenza di un pregiudizio subito dal nipote per i danni alla persona riportati dal nonno è infatti un danno futuro soltanto eventuale, come tale non risarcibile. In sostanza, quando il bambino, venuto alla luce, conoscerà il nonno, il loro rapporto si configurerà fin dall’inizio sulle possibilità fisiche che avrà questi al momento del loro incontro, e non è automatico né presumibile che da una limitata mobilità fisica del nonno il rapporto affettivo tra i due possa essere limitato o deteriorato.

    Danni non patrimoniali: la moglie e il figlio convivente

    Passando poi alla posizione della moglie e del figlio convivente, la Corte d’appello ha rideterminato la liquidazione del danno non patrimoniale in favore di costoro, effettuata dal tribunale sulla base delle tabelle del Tribunale di Roma, enunciando di fare applicazione delle tabelle del Tribunale di Milano, e liquidando in favore della moglie e del figlio un importo complessivo di 30.000,00 euro senza altra precisazione che consenta di ricostruire il ragionamento seguito per arrivare all’importo, e, quanto meno in motivazione, senza neppure precisare quanta parte dell’importo indicato spetti alla moglie e quanta al figlio (solo in dispositivo si indicano gli importi distintamente, in 15.000 euro ciascuno).

    La liquidazione risulta effettuata in forma equitativa “pura”, che è però ammessa solo quando la particolarità delle circostanze la giustifichi e solo se supportata da idonea motivazione. La liquidazione equitativa, anche nella sua forma cd. “pura”, consiste infatti in un giudizio di prudente contemperamento dei vari fattori di probabile incidenza sul danno nel caso concreto. Pertanto, pur nell’esercizio di un potere di carattere discrezionale, il giudice è chiamato a dare conto, in motivazione, del peso specifico attribuito ad ognuno di essi, in modo da rendere evidente il percorso logico seguito nella propria determinazione e consentire il sindacato del rispetto dei principi del danno effettivo e dell’integralità del risarcimento. Anche in riferimento a tale posizione, il motivo è pertanto accolto.

    La rideterminazione dei danni non patrimoniali spettante ai congiunti

    Ulteriormente, la sentenza afferma che per rideterminare secondo i principi indicati la liquidazione del danno non patrimoniale spettante ai congiunti del soggetto macroleso, il giudice del rinvio dovrà far riferimento a tabelle che prevedano specificamente idonee modalità di quantificazione del danno, come le tabelle predisposte dal Tribunale di Roma, che fin dal 2019 contengono un quadro dedicato alla liquidazione dei danni cd. riflessi subiti dai congiunti della vittima primaria in caso di lesioni.

    Le tabelle del Tribunale di Milano non altrettanto hanno fatto, allo stato, in riferimento alla liquidazione del danno dei congiunti del macroleso.

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