Rubare per fame: quando non è reato – indice:
Rubare per fame è reato? La povertà può essere una giustificazione dinanzi al furto? La risposta è no: rubare è sempre un furto, al di là della propria situazione di povertà, ben potendosi – ad esempio – rivolgere alla Caritas per il proprio sostentamento. Ad affermarlo è la Corte di Cassazione con una recente sentenza (n. 6635/2017) nella quale viene confermata la condanna per tentato furto aggravato nei confronti di una donna straniera che aveva sottratto formaggio da un supermercato appartenente a una nota catena della GDO.
La donna aveva cercato di giustificare le sue azioni affermando di aver agito così solo perché povera, senza permesso di soggiorno, senza stabile dimora e indotta dalla necessità di nutrirsi (non mangiando il formaggio, bensì rivendendolo e guadagnando in tal modo dei soldi per poter affrontare le esigenze della vita quotidiana). Una tesi che, evidentemente, non ha retto: ecco le motivazioni della Corte.
I motivi del ricorso: lo stato di necessità
Nel ricorso, la donna chiede la nullità della sentenza sostenendo di “avere agito in stato di necessità in quanto indigente e non in grado di procurarsi altrimenti quanto necessario per sopravvivere”, e che andava riconosciuta l’attenuante del danno lieve “sull’assunto che la gravità del danno andava interpretata avendo come riferimento la tipologia dell’esercizio commerciale in cui era avvenuta la sottrazione. E in ragione di ciò si sarebbe dovuto tenere conto che un importo di 82 Euro circa – tal era il valore commerciale della merce sottratta – costituisce ben poca cose per il supermercato vittima del furto”.
La decisione della Cassazione: rubare per fame non è reato perché è caso di necessità
Il ricorso della donna ha proposto due temi piuttosto ricorrenti nell’ambito dei delitti contro il patrimonio in generale, e nello specifico, dei furti di generi di prima necessità presso esercizi commerciali della grande distribuzione.
Del primo abbiamo in parte già detto. L’indicazione del furto commesso per procurarsi il necessario per il proprio minimo sostentamento di vita spesso invoca la giustificazione dello stato di necessità. “Nel provvedimento impugnato si ricorda come sia pacifica l’intervenuta sottrazione delle sei confezioni di parmigiano di cui l’imputata disse di avere l’intenzione di fare commercio al fine di sopperire alle proprie esigenze di vita” – ricorda la Corte, per poi supportare quanto già deciso dalla Corte territoriale, che “con motivazione logica e congrua, ha ritenuto condivisibilmente incontestabile il fatto che non possa essere invocato lo stato di necessità, atteso che la situazione di indigenza non è idonea di per sé ad integrare tale scriminante in difetto degli altri necessari elementi dell’attualità e dell’inevitabilità del pericolo.
Ad una simile conclusione i giudici del gravame del merito sono pervenuti aderendo ad un consolidato orientamento di questa Corte di legittimità, che si ritiene condivisibile e va riaffermato, secondo cui la situazione di indigenza non è di per sé idonea ad integrare la scriminante dello stato di necessità per difetto degli elementi dell’attualità e dell’inevitabilità del pericolo, atteso che alle esigenze delle persone che versano in tale stato è possibile provvedere per mezzo degli istituti di assistenza sociale”.
La lieve entità del danno
Risulta altresì essere di particolare utilità affrontare il secondo tema, ovvero la valutazione della lieve entità del danno atta a consentire la concessione della circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 4 cod. pen. (“l’avere, nei delitti contro il patrimonio, o che comunque offendono il patrimonio, cagionato alla persona offesa dal reato un danno patrimoniale di speciale tenuità, ovvero, nei delitti determinati da motivi di lucro, l’avere agito per conseguire o l’avere comunque conseguito un lucro di speciale tenuità, quando anche l’evento dannoso o pericoloso sia di speciale tenuità) debba avere riguardo alla capacità di sopportare quel danno da parte del soggetto passivo.
Anche in questo caso, la Suprema Corte supporta le convinzioni della Corte territoriale che “correttamente, ha ritenuto che non fosse ravvisabile l’attenuante cui all’art. 62 n. 4 cod. pen., collocandosi nel solco del consolidato orientamento di questa Corte di legittimità, da ribadirsi, per cui tale circostanza presuppone necessariamente che il pregiudizio cagionato sia lievissimo, ossia di valore economico pressoché irrilevante”.
Le conclusioni della Cassazione sullo stato di necessità
In sostanza, aggiunge poi la Corte, “è pur vero che, ai fini dell’accertamento della tenuità del danno -va qui riaffermato-è necessario considerare, oltre al valore in sé della cosa sottratta, anche il valore complessivo del pregiudizio arrecato con l’azione criminosa, valutando i danni ulteriori che la persona offesa abbia subito in conseguenza della sottrazione della “res”. (così Sez. 5, n. 24003 del 14/1/2014; L., R v. 260201, relativamente ad una fattispecie in cui l’imputato si era impadronito della borsa della persona offesa contenente un cellulare e le chiavi di casa ed in cui questa Corte, confermando la decisione del giudice di appello, ha escluso l’applicabilità dell’attenuante in questione, ritenendo i beni sottratti, complessivamente valutati, di valore economico non irrilevante, anche tenuto conto degli ulteriori danni subiti dalla persona offesa, in relazione al furto delle chiavi della propria abitazione; conf. Sez. 6, n. 30177 del 4/6/2013, C. ed altro, Rv. 256643).
Ciò significa, tuttavia, esattamente il contrario di quanto si sostiene in ricorso. La norma, in altri termini, a fronte di un danno economico che, come nel caso che ci occupa per le sei confezioni di parmigiano, non si palesi ictu oculi di particolare tenuità, appare immediatamente non applicabile. Tuttavia impone, anche a fronte di danni che apparentemente appaiano di portata economica irrilevante, di valutare, ai fini della configurabilità della circostanza attenuante, oltre al valore economico del danno, anche gli ulteriori effetti pregiudizievoli cagionati alla persona offesa dalla condotta delittuosa complessivamente valutata”.
Per queste valutazioni i motivi del ricorso vengono dichiarati inammissibili.