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Home » Penale » Famiglia » Diritto di famiglia, è reato rinfacciare alla moglie di non essere vergine?

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Diritto di famiglia, è reato rinfacciare alla moglie di non essere vergine?

Avv. Filippo Giuseppe Tassitani Farfaglia consulenzalegaleitalia.it Diritto di famiglia, è reato rinfacciare alla moglie di non essere vergine?
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Avv. Filippo Giuseppe Tassitani Farfaglia

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 18908/2017, ha dichiarato che l’atteggiamento di un uomo che ha rinfacciato alla propria compagna di non essere più vergine potrebbe integrare il reato di cui all’art. 572 del codice penale, relativo ai maltrattamenti in famiglia.

Maltrattamenti in famiglia e integrazione del reato

Nella fattispecie in esame, ad ogni modo, si parla di “integrazione” del reato, e non di unico elemento costituivo dello stesso. Alla base della responsabilità penale dell’uomo, sancita sia dai giudici di merito di primo e di secondo grado, vi erano diverse condotte evidentemente rilevanti, come l’aver picchiato la convivente, averla maltrattata con vessazioni fisiche e psichiche, averla costretta a contrarre matrimonio con un altro uomo per questioni di convenienza (nella fattispecie, evitare la sua espulsione dall’Italia) e ancora averle rinfacciato più volte l’assenza della sua verginità.

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Contro la sentenza di condanna, l’imputato ha proposto ricorso, con motivi tuttavia giudicati manifestatamente infondati dalla Corte, che ha ricordato come “i motivi di ricorso non forniscono elementi concreti e specifici di critica al compendio motivazionale svolto dai giudici di merito che risulta invece completo, esaustivo e coerente”, e che inoltre in sede di legittimità “non è possibile svolgere un nuovo giudizio sui fatti, ricostruendoli secondo modelli valutativi di maggiore favore rispetto a quelli adottati dai giudici di appello, i quali con motivazione ampia ed esente da vizi logici e giuridici, hanno esplicitato le ragioni del loro convincimento in adesione alle risultanze processuali acquisite e, pur facendo riferimento alle argomentazioni sviluppate nella sentenza di primo grado, hanno fornito una valutazione esaustiva ed autonoma dei motivi di appello sui punti specificamente indicati, verificando le ragioni dell’attendibilità della persona offesa, alla luce dei principi giurisprudenziali che consentono al giudice di trarre il proprio convincimento circa la responsabilità dell’imputato anche dalle sole dichiarazioni rese dalla persona offesa, sempre che sia sottoposta a vaglio positivo circa la sua attendibilità e senza la necessità di applicare le regole probatorie di cui all’art. 192, c. 3 e 4 c.p.p. che richiedono la presenza di riscontri esterni”.

Le valutazioni dei giudici

Chiarito ciò, i giudici rammentano altresì che i giudici di merito avevano ben evidenziato che la vittima “aveva confidato della grave situazione nella quale il suo rapporto di convivenza con l’imputato era precipitato, riferendo della costrizione ai rapporti sessuali e delle botte alla collega di lavoro (omissis) e finanche ai propri datori di lavoro, i quali, proprio dopo l’episodio finale che aveva posto fine alla convivenza, le avevano dato ospitalità; né del resto l’attendibilità di tali testimonianze era stata mai messa in dubbio dal ricorrente, tenuto conto che, come correttamente evidenziato dalla Corte bolognese, non si tratta solo di testimonianze de relato, avendo la collega (omissis) non solo raccolte le confidenza della (omissis), ma anche notato la frequenza dei lividi sul corpo della stessa. La sentenza impugnata è pertanto immune da censure avendo i giudici di secondo grado espresso con motivazione ampia ed adeguata il loro giudizio di piena attendibilità, ed assenza di malanimo, di quanto narrato dalla persona offesa nella deposizione dibattimentale, sia in relazione alle violenze sessuali, che ai maltrattamenti, che alla costrizione a contrarre un finto matrimonio con (omissis).

Ulteriormente, per quanto concerne l’infondatezza della richiesta di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, la Corte segnala come già il giudice di primo grado aveva sottolineato “la mancanza dei presupposti per riconoscerle, in ragione della gravità del fatto di violenza sessuale, della durata dei maltrattamenti e del comportamento successivo al reato”.

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Oltre a quanto sopra, la Corte di appello ha evidenziato le minacce e molestie recate alla testimone (omissis) dall’imputato (che la riteneva responsabile della rottura del suo legame con la compagna) e risulta anche “manifestamente infondata la censura proposta laddove assume che la negazione delle circostanze attenuanti generiche sarebbe conseguenza dei soli precedenti penali, posto che la Corte di appello ha richiamato sia gli allarmanti impulsi aggressivi posti in essere in danno della ragazza (sbattuta contro un armadio e minacciata e ferita con un cutter), sia la mancanza di seri e concreti segnali di resipiscenza in capo all’imputato nel prosieguo del processo penale”.

Avv. Tassitani Farfaglia – diritto penale

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